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L'assedio di Torino del 1706

Mondo, identità e storia


La storia del Piemonte è in genere assai poco conosciuta se non per alcuni fatti entrati nella leggenda o nell'iconografia. Dell'assedio di Torino e della battaglia che lo concluse si ricorda per esempio la morte di Pietro Micca in una galleria sotterranea della cittadella o la salita a Superga di Vittorio Amedeo II e del principe Eugenio che guardano dall'alto la città assediata. In realtà questi episodi acquistano un ben maggiore significato se si conosce anche la loro posizione storica e si studia quel periodo molto particolare in cui il Piemonte, che allora si identificava in gran parte con il ducato di Savoia, poté influenzare gli equilibri europei dell'epoca e contribuì a determinare l'assetto politico italiano di quel secolo e del successivo.

All'inizio del 1700 il quadro europeo era dominato da due grandi dinastie: da un lato i Borboni rappresentati dal Re Sole Luigi XIV e dal nipote Filippo d'Angiò, divenuto proprio allora re di Spagna, dall'altro gli Asburgo, imperatori d'Austria e Ungheria. Gli altri paesi si collegavano a seconda delle circostanze con l'una o con l'altra. Sia i Borboni, in particolare il Re Sole, sia gli Asburgo tentavano di estendere la propria influenza e consideravano indispensabile in questo senso il dominio sul Norditalia.
In tale contesto il ducato di Savoia, piccolo ma militarmente efficiente e retto da una dinastia ben radicata nella popolazione e in grado quindi di garantire stabilità politica ed economica, assumeva un ruolo determinante per mantenere l'equilibrio tra le maggiori potenze o spostarlo in una direzione o nell'altra.

L'ascesa al trono di Filippo d'Angiò che era succeduto a Carlo II di Spagna morto senza eredi colse di sorpresa le potenze europee e radicalizzò i contrasti tra le nazioni perché di fatto comportava l'unificazione dei regni francese e spagnolo e favoriva quindi la Francia e la sua politica espansionistica.
Si poneva inoltre il problema della spartizione dei territori dell'impero spagnolo il cui smembramento era stato deciso molto prima della morte di Carlo II, sui quali molte nazioni tra cui il ducato di Savoia accampavano i propri diritti. La guerra, che fu detta di successione spagnola, divenne inevitabile.
Intorno all'imperatore d'Austria Leopoldo I si formò la Grande Alleanza dell'Aia in cui erano comprese anche l'Inghilterra, l'Olanda e alcuni principi tedeschi. Dall'altra parte erano schierati inizialmente la Francia, la Spagna e il Portogallo insieme con la Baviera e il ducato di Savoia che successivamente cambiarono campo.

La posizione del ducato di Savoia di Vittorio Amedeo II, chiuso tra le due aree borboniche della Francia e del possedimento spagnolo di Milano, lasciava scarsa possibilità di manovra e la scelta iniziale di appoggiare i Borboni era dettata soprattutto dal fatto che i ripetuti tentativi di giungere ad un accordo con l'imperatore sul possesso di alcuni territori, in particolare del Milanese, non avevano avuto alcun esito. In realtà già dal 1686, anno della sua ascesa al trono, il Duca aveva tentato invano di staccarsi dalla pesante tutela del potente vicino che condizionava anche le sue scelte di politica interna e minacciava continuamente di assorbirlo. Comunque l'alleanza con i Borboni fu conclusa, col suggello del matrimonio di Filippo V con Maria Luisa, la figlia minore del duca, e il 6 aprile 1701 fu firmato un trattato di alleanza.
Vittorio Amedeo, nominato capo supremo di tutto l'esercito borbonico in Italia, continuò però a mantenere contatti segreti con Leopoldo d'Austria.

All'inizio i Borboni occuparono i territori spagnoli in Lombardia senza trovare opposizione alcuna.
Alla fine di maggio tuttavia il principe Eugenio di Savoia, generale dell'imperatore, attraversò le Alpi a capo di un esercito di 30.000 uomini e costrinse i nemici a retrocedere. All'inizio di settembre a Chiari si scontrò vittoriosamente con l'esercito avversario e lo costrinse a ritirarsi fino quasi a Milano.
Vittorio Amedeo, che aveva combattuto questa battaglia a capo dell'esercito borbonico, fu accusato di fare il doppio gioco e di essere in contatto con il cugino e fu di fatto sostituito nella sua carica da Filippo V.
Il comandante delle truppe franco-spagnole dell'Italia settentrionale, il generale Catinat, venne sostituito a sua volta dal duca di Vendôme. L'esercito fu riorganizzato e a partire dall'estate del 1702 recuperò una buona parte dei territori perduti. A questo punto si era fatta precaria la posizione dell'imperatore, che in quel periodo doveva anche domare una rivolta che dilagava in Ungheria. Egli si convinse quindi della necessità di staccare dall'alleanza borbonica il duca di Savoia in cambio di concessioni territoriali sull'eredità spagnola. Anche le potenze marittime alleate, l'Inghilterra e l'Olanda, premevano in questa direzione, perché entrambe consideravano l'accordo con il Piemonte il fattore indispensabile per la vittoria in Italia e la conseguente espansione navale nel Mediterraneo.

I colloqui dell'inviato segreto di Leopoldo con Vittorio Amedeo si intensificarono dopo i rovesci dell'estate del 1702 e della successiva campagna del 1703. Nel luglio del 1703 si arrivò a delle trattative per un patto di alleanza in cui al duca di Savoia venivano riconosciute concessioni territoriali come compenso dei suoi diritti all'eredità spagnola. Vittorio Amedeo chiese anche dei sussidi per le spese militari che gli vennero concessi dal governo inglese e da quello olandese. La firma della bozza d'accordo avvenne nel novembre 1703 ma solo nel giugno 1704, dopo lunghe trattative, si giunse alla ratifica dell'accordo definitivo che prevedeva l'acquisizione del Monferrato, dell'area lombarda compresa tra Alessandria e Valenza, della Lomellina e della Valsesia ed eventualmente del Vigevanese. Alla difesa del ducato avrebbe collaborato un esercito di 20.000 soldati imperiali.

Le trattative tra il duca e l'imperatore non erano passate inosservate e Luigi XIV, comprendendo che la rottura con i sabaudi era imminente, dette ordine al Vendôme di agire di conseguenza.
Il 29 settembre 1703 a San Benedetto Po 4.500 dei migliori soldati del duca vennero catturati e disarmati. Venti giorni dopo il generale Vendôme raggiunse Casale e richiese il disarmo totale dei suoi reggimenti e la consegna dei forti di Cuneo e Verrua in pegno di fedeltà alla Francia. Pertanto il 24 ottobre Vittorio Amedeo dichiarò guerra alla Francia. Gli eserciti francesi si prepararono ad invadere il ducato e la guerra di successione dilagò anche in Piemonte.

Il patto garantì a Vittorio Amedeo gli aiuti di cui aveva estremo bisogno ma la situazione era comunque molto rischiosa e metteva in gioco la sopravvivenza stessa del suo stato, poiché l'obiettivo di Luigi XIV era ormai il dominio totale del Piemonte e la distruzione del suo esercito. I francesi cercarono perciò di isolare le forze sabaude da quelle imperiali in Lombardia. Ciononostante un corpo di truppe imperiali comandate dal conte Staremberg riuscì con marce forzate a raggiungere il Piemonte e il 12 gennaio 1704 a Canelli si congiunsero con i piemontesi comandati dal Parrella. L'arrivo dello Staremberg e dei suoi 14.000 soldati permise al duca di aumentare i reparti a sua disposizione e impedì l'immediata occupazione del Piemonte. La maggior parte dei reggimenti perduti fu velocemente ricostituita con le reclute della milizia. Vennero inoltre reclutate delle compagnie di irregolari valdesi, due reggimenti di truppe protestanti (principalmente ugonotti esiliati) ed altri due di mercenari svizzeri e tedeschi, con il che Vittorio Amedeo si trovò a comandare un esercito piuttosto efficiente che con le truppe dello Staremberg arrivava a quasi 35.000 uomini. Si poneva però il problema del suo mantenimento, che non poteva essere sostenuto per molto tempo dalle finanze del duca. I sussidi arrivarono, come era stato stabilito dal trattato con l'imperatore, dall'Inghilterra e dall'Olanda in cambio di garanzie di tolleranza per i valdesi e gli altri gruppi protestanti delle aree sabaude e di alcuni accordi commerciali. Vittorio Amedeo riuscì a mantenere i contatti con gli alleati attraverso la Svizzera e ricevette i loro sussidi con l'aiuto dei banchieri di Ginevra.

A partire dall'estate del 1704 viene messa in atto l'invasione del Piemonte da tutti i fronti.
In giugno l'esercito francese comandato dal duca de la Feuillade dopo aver occupato la Savoia, passò le Alpi dal Moncenisio, conquistò Susa e le vallate circostanti e ottenne la resa di Pinerolo. L'esercito del Vendôme unitosi con altre forze francesi giunte dal Piccolo San Bernardo occupò rapidamente Ivrea e la Valle d'Aosta interrompendo tutte le comunicazioni con la Svizzera, con il che si bloccarono anche le sovvenzioni che il duca riceveva dalle potenze marittime.

All'inizio dell'inverno assediò la fortezza di Verrua che resistette validamente e si arrese solo sei mesi dopo. Per tutto l'inverno il Piemonte occupato subì le scorrerie dei soldati francesi che misero a dura prova la possibilità di sopravvivenza nelle campagne. Nel marzo 1705 il La Feuillade occupò il Nizzardo dove resistette per molti mesi soltanto la cittadella. Nell'estate il Vendôme conquistò le fortezze di Crescentino e di Chivasso e poi si spostò in Lombardia per fronteggiare l'avanzata degli imperiali del principe Eugenio e lo sconfisse a Cassano d'Adda il 16 agosto.

Ritornò quindi in Piemonte per iniziare l'assedio di Torino ricongiungendosi con l'esercito del La Feuillade che già dall'8 agosto era accampato a Venaria Reale e stava bloccando la città. Insieme annunciarono a Versailles l'imminente caduta della piazzaforte. Nel settembre La Feuillade tenne Torino per sei giorni sotto in fuoco continuo di cannoni e di mortai ma non riuscì a scalfire le sue ottime difese e la capacità di resistenza del presidio militare e dei cittadini. Nel mese di ottobre i generali francesi decisero quindi di ritirarsi per procurarsi nuovi mezzi per l'assedio, anche perché il sopraggiungere della stagione invernale rendeva più difficili tutti i movimenti.

Malgrado questa tregua la situazione di Vittorio Amedeo era disperata. Quando nel dicembre caddero le fortezze di Nizza e di Montmélian in Savoia si trovò circondato da ogni lato e nell'impossibilità di ricevere aiuti dagli alleati, con un esercito dimezzato che non riceveva ormai nessuna paga e quindi si autofinanziava con scorrerie e saccheggi. La situazione si sbloccò solo con le vittorie degli inglesi e degli imperiali nelle Fiandre, che costrinsero Luigi XIV ad allentare la pressione sull'Italia e permisero invece agli alleati di potenziare l'esercito di Eugenio di Savoia che dalla Lombardia doveva portare aiuto al Piemonte assediato.

Comunque l'esercito che il 13 maggio arrivò a Torino sotto il comando del duca de La Feuillade e del generalissimo Vendôme era formidabile e munito di un gran numero di cannoni, mortai e pezzi d'artiglieria. Contro il parere del generale Vauban, che l'anno precedente aveva fatto un piano per un'azione dalla parte della collina, i due comandanti francesi preferirono attaccare dalla parte della cittadella e cominciarono dei massicci lavori di scavo per passare sotto le mura fortificate attraverso gallerie e giungere direttamente al cuore della piazzaforte. Le fortificazioni di Torino però, iniziate già nel 1564 per volere del duca Emanuele Filiberto e potenziate nel corso dei due secoli, erano state costruite proprio in vista di attacchi di questo genere. Sotto la superficie della città e per un buon tratto anche fuori delle mura, si svolgeva su due piani sovrapposti una fitta rete di gallerie e camminamenti sotterranei che dovevano permettere ai difensori li intercettare i lavori di scavo nemici e far saltare le batterie di breccia piazzate in superficie. Secondo la ricostruzione fatta dal generale Amoretti, al momento dell'assedio la rete di gallerie raggiungeva un'estensione di ventuno chilometri e la profondità di quattordici metri, la massima possibile, il che rendeva la piazzaforte inespugnabile dal basso. In questo labirinto vigilavano giorno e notte i minatori pronti ad intervenire al primo segno di irruzione nemica, come fece Pietro Micca che nella notte tra il 29 e il 30 agosto rimase sepolto nel crollo di un fornello di mina fatto esplodere per bloccare il passaggio di una pattuglia francese. Fu per questo che gli assedianti, benché raggiungessero spesso delle posizioni avanzate in superficie, in realtà non poterono mai trarne un reale vantaggio e subirono gravissime perdite.

Nei due mesi successivi Torino subì un assedio durissimo in una condizione di assoluto isolamento che rendeva molto problematica la sua possibilità di resistenza soprattutto per la difficoltà del rifornimento di polvere e munizioni. Il duca ne era uscito alla metà di giugno, quando aveva avuto notizia che il cerchio nemico era stato chiuso e le strade stavano per essere bloccate. Lasciò in città un presidio di circa 10.500 soldati al comando del generale Daun, oltre alla milizia urbana formata da 5.000 uomini e partì per raggiungere la sua cavalleria e compiere azioni dall'esterno con cui alleggerire la pressione sugli assediati in attesa dei rinforzi del principe Eugenio. Per tutto il mese di luglio compì continue irruzioni sulla città e sulle linee francesi di rifornimento eludendo i tentativi del La Feuillade di catturarlo e tentò anche vanamente di far giungere rifornimenti di polvere al generale Daun. Nel frattempo il Vendôme era stato inviato in Fiandra ed era stato sostituito con il duca di Orléans. Questi giunse alla fine di agosto e insieme al La Feuillade intensificò gli assalti per conquistare Torino prima dell'arrivo dell'esercito imperiale. Ma la città non cadde e finalmente il 29 agosto, quando ormai gli abitanti erano alle fame e le polveriere vuote, le truppe di Eugenio di Savoia arrivarono a Carmagnola e si congiunsero con quelle di Vittorio Amedeo.

Insieme salirono sulla collina di Superga e decisero il piano d'attacco che teneva conto della loro inferiorità numerica (30.000 uomini contro i 41.000 dei francesi). Due giorni dopo condussero l'esercito da Carmagnola verso lo schieramento francese attestandosi tra Venaria e Lucento, nel punto più debole delle linee d'assedio francesi che per un errore inspiegabile li lasciarono passare. Di qui il 7 settembre i corpi prussiani e la cavalleria imperiale di Eugenio andarono all'assalto e dopo diverse ore di duri scontri in cui lo stesso duca d'Orléans rimase ferito riuscirono a conquistare un punto d'appoggio nelle trincee nemiche. Vittorio Amedeo alla testa della sua cavalleria ruppe le linee francesi e contemporaneamente il presidio di Torino uscì dalla città. A questo punto gli assedianti si sbandarono e si dispersero, poi si ritirarono verso ovest, abbandonando tutto il materiale bellico. L'assedio di Torino era terminato, il Piemonte fu liberato da un'invasione e la una guerra che l'avevano ridotto allo stremo non solo per gli scontri militari ma soprattutto per le devastazioni operate per anni nelle campagne dagli eserciti nemici e da quelli alleati.

Nel 1713 ad Utrecht venne firmato un trattato che riconosceva a Vittorio Amedeo gli ampliamenti territoriali già pattuiti, come il Monferrato ed altri territori lombardi, e in più gli concedeva anche la Sicilia e con essa il titolo regio. Con il che il suo stato, pur piccolo, si inseriva di diritto in mezzo alle grandi potenze, con la possibilità di intervenire in maniera autonoma nella gestione della politica europea. Tuttavia la battaglia di Torino e l'esito favorevole ai Savoia della guerra di successione spagnola ebbero conseguenze che andarono oltre i confini del Piemonte, poiché costrinsero definitivamente i Borboni a rinunciare al potere in Lombardia e posero un freno alle mire espansionistiche del Re Sole. Furono invece gli Asburgo a imporre il loro predominio, che avrebbe condizionato la storia europea per un secolo e mezzo.
Intanto il Piemonte oltre al proprio ruolo nella storia aveva ormai conquistato la sua identità di nazione e il suo spirito di popolo. Ed è proprio questo che a noi manca adesso, e che faticosamente tentiamo di ritrovare.

(Vera Bertolino)


Cronologia dell'assedio di Torino

ANNO 1705

8 agosto. Le truppe francesi al comando del duca di La Feuillade si accampano a Venaria Reale.

Settembre. Primo tentativo di assedio, interrotto dopo sei giorni di fuoco concentrato. I francesi decidono di rimandare l'assedio alla primavera successiva per rafforzare la fanteria e aumentare i pezzi di artiglieria.

17 dicembre. Cade la fortezza di Montmélian dopo due anni di resistenza. Viene rasa al suolo dai francesi.

16 gennaio. Capitolazione del castello di Nizza. II ducato conserva soltanto Torino e il Piemonte meridionale.

ANNO 1706

Inverno. Il duca Vittorio Amedeo rinforza l'esercito portandolo a 16.000 uomini. Luigi XIV aumenta il proprio contingente e le sue truppe in Piemonte arrivano a 44.000 uomini con 110 cannoni, 60 mortai e gran materiale d'assedio.

13 maggio. Le forze francesi giungono nella pianura a nord di Torino e si schierano sulla Dora dal castello di Lucento al Po sotto il comando del La Feuillade e del generalissimo Vendôme.

Maggio-giugno. I francesi eseguono fortificazioni e massicci lavori di scavo per portarsi sotto la cittadella, ma sono continuamente disturbati dalla cavalleria di Vittorio Amedeo. Anche da parte piemontese si rafforzano le difese e se ne costruiscono delle nuove.

9 giugno. I francesi iniziano i bombardamenti sulla città con i mortai.

16 giugno. Vittorio Amedeo viene informato che il blocco della strada di Moncalieri è imminente e fa partire per Cherasco la famiglia.

17 giugno. Il duca stesso abbandona la città per raggiungere la sua cavalleria e organizzare dall'esterno la resistenza. Partono anche i presidenti del Tribunale e della Corte dei Conti, oltre a molte famiglie nobili e borghesi La difesa della città viene affidata al Maresciallo Daun, comandante generale delle forze ausiliarie imperiali, al Marchese di Caraglio, governatore di Torino, al Conte La Roche D'Allery, comandante della cittadella, al Conte Solaro della Margherita, comandante generale dell'Artiglieria e al Bertola, capo degli ingegneri militari. La milizia urbana è sotto il comando del conte Provana. Numerose sono le diserzioni, denunciate dal Daun al Duca nelle sue lettere.

18 giugno. Vittorio Amedeo alla testa di 4.000 cavalieri fa irruzioni nel campo nemico per creare azioni diversive. Il La Feuillade lo insegue con 10.000 uomini, cannoni e mortai e lo circonda a Carmagnola.

21 giugno. Il duca si dirige verso Cherasco incalzato dalla cavalleria nemica e si attesta sulle rive della Stura. I francesi tentano di tagliargli la strada.

24 giugno. Bombardamenti francesi su Torino con tutta l'artiglieria. I piemontesi rispondono portando i loro cannoni oltre le linee di fortificazione per colpire con precisione le batterie degli assedianti.
I cannoneggiamenti continuano per parecchi giorni.

26 giugno. Il duca risale la Stura e si accampa davanti a Fossano.

27 giugno-25 luglio. I francesi continuano ad inseguire il duca che si porta a Cuneo e a Saluzzo e ingaggia un combattimento vittorioso contro gli squadroni francesi. Infine si sposta all'imbocco della Val Pellice dove unisce alle sue forze 3.000 valdesi. Continua le sue incursioni verso Torino.
Il 17 luglio il La Feuillade rinuncia ad inseguirlo e torna a dirigere l'assedio di Torino con la fanteria, lasciando la cavalleria a Chieri e Moncalieri.

30 giugno. In città si tenta una sortita che però viene respinta. Il fuoco continuo dei cannoni provoca gravi danni agli edifici e alla popolazione ma le mura esterne e la cittadella resistono efficacemente.

4 luglio. I lavori di scavo dei minatori francesi sono ormai a buon punto e viene fatta brillare la prima mina. Da questo momento i combattimenti si svolgono anche sottoterra, dove i francesi hanno le perdite più gravi.

8 luglio. Arriva al campo francese il duca d'Orléans, che deve sostituire il duca di Vendôme come comandante in capo. Discute con il La Feuillade il nuovo piano d'attacco e concludono insieme di persistere nell'azione contro la cittadella e di sviluppare l'azione con le mine.

11 luglio. Il Daun avverte Vittorio Amedeo che la scarsità di polvere si aggrava e impedisce azioni efficaci contro gli assedianti.

21 luglio. I francesi conquistano un importante punto delle fortificazioni e vi si attestano con 40 mortai e 60 cannoni.

22 luglio. Tentativo di sortita piemontese al comando del gen. Della Rocca col fine di riprendere le fortificazioni perdute, respinto dai francesi con gravi perdite da entrambe le parti. Gli assedianti si preparano a conquistare il fossato che difende le fortificazioni, lungo il quale corre la strada occupata dai difensori.

1 agosto. Vittorio Amedeo stabilisce il proprio quartier generale a Carmagnola.

2 agosto. I francesi si impadroniscono dell'opera a corno della cittadella.

5 agosto. Conquista francese della strada coperta della cittadella dove installano le batterie di breccia.

6-21 agosto. I lavori di scavo degli assedianti si intensificano ma vanno molto a rilento per le azioni di disturbo dei piemontesi che a loro volta scavano nuovi cunicoli e pozzi. Feroci scontri sotterranei.

21-24 agosto. I bastioni cominciano a sgretolarsi sotto il violentissimo fuoco delle batterie francesi.

24 agosto. Lo scoppio di alcuni fornelli di mina distrugge quattro batterie di breccia.

26-27 agosto. Violento attacco dei bastioni concluso dopo dodici ore con la ritirata dei francesi. L'esercito di La Feuillade che ha subito ingenti perdite, riceve i rinforzi delle truppe del duca d'Orléans reduce dalla Lombardia. In tutto arrivano a 41.000 soldati.

29 agosto. Il principe Eugenio arriva a Carmagnola con il suo esercito. Nella notte il minatore Pietro Micca muore mentre fa esplodere un fornello di mina per impedire il passaggio di una pattuglia francese nelle gallerie sotto la cittadella.

31 agosto. Nuovo violento attacco dei francesi che viene respinto.

1 settembre. Il principe Eugenio e Vittorio Amedeo passano in rassegna i loro eserciti a Villastellone. In tutto dispongono di 30.000 uomini.

2 settembre. I due principi salgono a Superga per studiare gli schieramento dei nemici e le loro fortificazioni e decidono il piano di attacco.

4 settembre. Viene respinto un terzo attacco contro la città. I magazzini di polvere sono ormai quasi completamente vuoti. I Savoia passano il Po a Carignano con il grosso delle truppe.

5-6 settembre. I francesi colpiscono ininterrottamente le mura e i bastioni con il fuoco di tutti i loro pezzi.

6 settembre. Le truppe piemontesi e imperiali si schierano tra Venaria e Lucento. In città il generale Daun fa i preparativi per una sortita in forza alle spalle del nemico. I francesi si preparano a sostenere un attacco dal lato del Po e della collina.

7 settembre. Alle 10 della mattina gli austro-piemontesi attaccano con una manovra a sorpresa dalla parte di Stura. I francesi presi alla sprovvista non possono rispondere con efficacia poiché il grosso del loro esercito è dislocato altrove e i cannoni del La Feuillade continuano a far fuoco contro la città. Infine l'arrivo della guarnigione di Torino decide la battaglia: l'esercito si sbanda e si disperde senza che il duca d'Orléans ferito riesca a riorganizzarlo. Alle tre del pomeriggio i resti dell'armata del Re Sole sono in rotta sulla strada di Francia, mentre a Torino restano più di 200 pezzi d'artiglieria, cavalli e bandiere.

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