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L'Ottocento

Pittura

Eugenio Gabanino

TRA IL SETTECENTO E L'OTTOCENTO

Le testimonianze della pittura piemontese del regno di Vittorio Amedeo III risalgono alle raccolte del Museo Civico di Palazzo Madama e del Museo numismatico. Ci sono pittori legati all'ambiente accademico torinese come Lorenzo Pécheux, Carlo Antonio Porporati, Amedeo Lavy,ma all'inizio dell'Ottocento si fanno anche sentire le influenze lombarde di Appiani e di Hayez e soprattutto del valsesiano Giuseppe Mazzola che si stabilirà poi a Milano. Altri, come Luigi Baldassarre Reviglio e Giuseppe Pietro Bagetti, autori di acquarelli e di tempere di particolare pregio, non svolgono la loro principale attività come pittori, ma ottengono risultati di altissimo livello anche nell'ambito europeo. Bagetti per esempio, che si era formato alla scuola acquarellistica di Pietro Giacomo Palmieri, professionalmente è ingegnere topografo, architetto civile e militare dell'Università di Torino, insegnante di disegno topografico presso l'Accademia e solo in seguito sarà nominato pittore di paesaggi da Vittorio Amedeo III.


Piero Bagetti,
Paesaggio con cascata


Anche Giovanni Battista De Gubernatis è un acquarellista dilettante formatosi alla scuola del Palmieri e del Bagetti perché, laureato in giurisprudenza, esercita la professione nel suo ruolo diplomatico e amministrativo di funzionario sabaudo a Parigi, ad Orange e a Parma. La sua bravura è tale che non solo lo porta all'altezza dei più valenti maestri europei, ma gli permette di conseguire la medaglia d'oro al Salon parigino nel 1812.

Tutti questi artisti che vivono a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento da una parte conservano lo spirito illuministico della chiarezza formale e della razionalità dell'impostazione iconografica, ma dall'altra sentono e subiscono il fascino delle nuove forze spirituali che si affacciano come lo Sturm und Drang e il Romanticismo. In Piemonte nel corso degli anni, per tutto il secolo, si assiste al continuo mutare di gusti e al nascere di numerose correnti artistiche, a volte dichiaratamente opposte, che rispecchiano il travagliato divenire del sentire europeo. La pittura piemontese dell'Ottocento quindi risente di tutti gli sconvolgimenti politici e artistici che attraversano tutta l'Europa, ma sa mantenere delle caratteristiche sue che la contraddistinguono.

L'EUROPA DEL NUOVO SECOLO

Si può affermare che dopo la Rivoluzione francese l'Europa non ha più trovato pace perché essa è l'espressione del più profondo sconvolgimento e rivolgimento storico che si fa sentire non solo per tutto l'Ottocento ma addirittura nel Novecento. Dopo questo evento gli uomini sono cambiati in modo profondo e irreversibile rispetto a quelli delle epoche precedenti. Questo periodo viene di volta in volta chiamato secolo "senza fede", "distruttore dei miti", "della borghesia", "del soggettivismo", "dell'individualismo".

Rispetto alle precedenti epoche di cultura cambia di conseguenza il concetto stesso dell'arte e della sua funzione, perché non può più soddisfare i bisogni spirituali che le epoche precedenti hanno in essa cercato e trovato. Il mutamento radicale può essere visto in modo bipolare, positivo o negativo, come segno di dissoluzione o di costruzione di un nuovo mondo, di un sentire sfrenato addirittura patologico o del superamento di ogni ipocrisia, del crollo dell'ancien régime e del declino dei valori o la creazione di nuovi. Anche la posizione sociale dell'artista muta: da artigiano e servitore del clero o della nobiltà assume a poco a poco il nuovo ruolo di spirito creatore, e da abitatore delle Corti per salvaguardare la sua libertà e indipendenza è costretto ad isolarsi e rinchiudersi in una triste bohème. Di conseguenza il linguaggio artistico diventa sempre più esoterico, rivolto a pochi che lo capiscono e lo sentono, perché esprime l'inquietudine esistenziale che in pittura diventa incertezza nella scelta delle tematiche e nello stile: si assiste al crollo dell'ordine barocco, dell'immagine consolatrice del mondo e alla perdita del centro. All'artista, che deve cercare e trovare se stesso, è data la libertà totale che non ha mai avuto nelle epoche precedenti. La coscienza umana si apre verso ambiti preclusi, vede le cose con occhi nuovi e gode della libertà totale nella scelta dei nuovi e mai visti mezzi formali. Il vecchio e il nuovo secolo si contrappongono e gli artisti vengono di fatto proiettati nella nuova situazione confusa e magmatica. Non per niente nell'Ottocento, cosa mai prima vista, si assiste a tutta una serie di scandali pubblici connessi alla nuova produzione pittorica che appare sovversiva, incomprensibile e inaccettabile dai benpensanti.

IL PIEMONTE

Nel giro di pochi anni con alterne vicende in seguito alla prima e alla seconda campagna napoleonica il Regno di Sardegna si trasforma in un'appendice francese (abdicazione di Carlo Emanuele IV, Governo provvisorio, 27^ Divisione militare). La prestigiosa Accademia è mutata in Facoltà universitaria con programmi e finalità nate dalle esigenze espansionistiche francesi, si forma una scuola municipale di disegno che prima non esisteva, la committenza religiosa viene a mancare, i gusti della Corte sono banditi per lasciare il posto alle esigenze celebrative della personalità napoleonica.
Con la Restaurazione le cose di colpo si capovolgono, le pitture che esaltano la gloria e le imprese napoleoniche sono letteralmente distrutte, e così di tante opere pittoriche non resta che una vaga testimonianza storica.

In Piemonte grossomodo si può fare una distinzione tra la pittura del primo e del secondo Ottocento, distinzione dai margini alquanto sfumati, perché certe espressioni estetiche a volte sono anticipatrici di correnti che solo più tardi si svilupperanno nel resto dell'Europa e dell'Italia.
Nel corso di tutto il secolo in Piemonte si possono via via evidenziare, secondo uno schematismo puramente accademico il filone protoromantico, il romanticismo classicheggiante e il classicismo dichiarato, il gusto per un Medio Evo del tutto inventato (stile troubadur), il paesaggismo romantico, il genere storico celebrativo, il Verismo ante litteram e il Realismo, la nascita del Divisionismo e della pittura con intenti sociali, e alla fine dell'Ottocento, la comparsa del Simbolismo che sta alla pari con quello ben più famoso del resto del continente. Non va dimenticato, anche se espresso in forma più sommessa, il filone religioso, la ritrattistica e il genere storico che esalta le imprese guerresche dei Savoia e di tutto il Risorgimento, dalle guerre d'indipendenza fino alla guerra di Crimea.

Non bisogna dimenticare il ruolo che hanno nella storia della pittura piemontese e in generale della cultura, due istituzioni, una fondata nel Settecento, l'altra nella seconda metà dell'Ottocento: vale a dire l'Accademia delle Belle Arti e la Promotrice; l'Accademia per il suo rigoroso metodo d'insegnamento e la serietà delle discipline coltivate è un riferimento per l'Italia intera, mentre la Promotrice è il primo esempio italiano della volontà di diffondere la pittura tra il popolo, perché, non si dimentichi, nel periodo risorgimentale la pittura è ritenuta uno strumento assai efficace per l'educazione patriottica e il mezzo più adatto per elevare la cultura storica degli Italiani. Molti pittori, infatti, sono o volontari o soldati in carriera che si distinguono per il loro ardore nelle battaglie per la conquista dell'indipendenza. Il soldato e l'artista sono fermamente convinti della importanza della loro missione, in quanto per loro vale l'equazione: il pittore militante è uguale al combattente; il pennello e il fucile sono entrambi armi che devono essere usate da chi sente il vivo richiamo dell'impegno civile. Con la fondazione del primo Museo Civico Italiano grazie alla attività illuminata di Roberto d'Azeglio, la pittura non è più solamente destinata alla nobiltà o al clero ma a tutti i cittadini.

IL ROMANTICISMO

Il Romanticismo è un movimento europeo che nasce in Germania (ufficialmente nel 1798 con la rivista Atheneum) e si diffonde nelle varie nazioni occidentali fin dopo la seconda metà dell'Ottocento come una "epidemia", con sintomi diversi, che assume spesso forme e modalità differenti secondo il substrato su cui si sviluppa. Il nome, d'origine inglese, viene a significare la nuova sensibilità per tutto ciò che è irrazionale, mistico, fantastico, misterioso, terrificante e malinconico; l'architettura classica non è più apprezzata, mentre è esaltata l'architettura gotica del tutto inventata immersa in lande selvagge. Il paesaggio d'elezione è pittoresco o impressionante o, addirittura, orrido e impervio. (Vedi le opere di Palmieri, Bagetti, De Gubernatis, D'Azeglio, Camino, Gamba, ecc.).


Giovanni Battista De Gubernatis,
Paesaggio nella bufera, 1803


Il concetto di "romantico" è forse ancora più difficile da definire d'altri movimenti spirituali, perché si presenta in una quantità estrema di forme ed espressioni. Per esempio, da un lato si ha un titanismo compulsivo, dall'altra si cade in un intimismo esagerato e a volte per noi patologico. Alcuni critici ritengono che il termine "romantico" si possa adattare ad una categoria innata dell'uomo, valida in ogni epoca e luogo, e che, quindi, il Romanticismo sia un modo d'essere. Ora per Romanticismo si intende una ben definito movimento storico che si manifesta nell'Ottocento.

In Italia il Romanticismo si afferma nel 1816 con il saggio della Staël e gli scritti del Berchet: gli Italiani sono invitati a farsi paladini della nuova arte, espressione dei nuovi tempi; gli artisti non si devono più ispirare all'arte greco-romana, alla mitologia classica e agli antichi episodi storici; tutta l'estetica classica deve essere rigettata se è espressione di un vuoto accademismo; l'artista deve essere impegnato moralmente e socialmente e, per rappresentare l'uomo nella sua globalità, rifarsi ad un Medio Evo, sognato più che criticamente vissuto, sentito come il vero generatore dello spirito moderno. Il Medio Evo diventa così un mondo incantato e l'epica cristiana è contrapposta a quella classica.
È una violenta reazione all'Umanesimo, al Rinascimento, all'Illuminismo: alla ragione si antepone il sentimento, alla fredda verità scientifica l'intuizione empatica della verità che sta in tutto l'universo e può essere colta solo con religiosa contemplazione. L'artista non deve imitare la Natura, ma cogliere l'effusione del suo cuore che la canta nelle sue incessanti metamorfosi. Il cuore sa cogliere la poesia che nasce dal popolo e dagli uomini così detti "primitivi" che vivono non contaminati dalla civiltà e che ancora sono gli unici portatori della vera spiritualità.

IL PAESAGGIO ROMANTICO IN PIEMONTE

I numerosi quadri del Rococò e dell'Arcadia pervenutici dimostrano che la pittura di paesaggio è sempre stata molto apprezzata dalla Corte e dalla committenza nobile piemontese fin dal Settecento.
Alla fine del Settecento e per tutto il primo Ottocento in Piemonte si manifestano i fremiti europei dello Sturm und Drang e il sentire travagliato del Romanticismo come si può rilevare, ad esempio, dagli acquarelli di Baldassare Reviglio, (
Paesaggio invernale, Paesaggio con villa e pescatori, Paesaggio con bagnanti), di Bagetti (Paesaggio montano, Valico alpino sotto la neve, Paesaggio all'aurora, Paesaggio roccioso con alberi divelti, Sottobosco con monaco), del Palmieri (Contadino presso una cascata montana, Armento presso un lago, Lavandaie presso un lago, Pastore fra i dirupi, Vecchio ponte diroccato), del De Gubernatis(Chiesa sotto cielo temporalesco, Paesaggio nella bufera con castello a quattro torri, Casa diroccata in stile gotico presso Avigliana), e dalle tele ad olio di Giuseppe Camino, dedicatosi alla pittura di ampi panorami d'invenzione chiaramente romantica (Il diradarsi di un temporale), di Carlo Piacenza (Paesaggio con cielo tempestoso), di Edoardo Perotti che già dimostra una spiccata tendenza alla raffigurazione del vero naturale (Un mattino), Francesco Gamba specializzato in marine di stile nordico dovute alla sua formazione presso scuole del Nord Europa, di Francesco Gonin (La Rocca di Sapay), di Angelo Beccaria di formazione accademica, prima pittore di figura, poi convertitosi al paesaggio (La raccolta del fieno), ed infine di Massimo d'Azeglio (Paesaggi romani, Paesaggio con monte e lago, Paesaggio con monti e mare, Paesaggio con bufali, Villaggio dei Colli Albani, Sosta di cavalieri, La Sacra di San Michele). Opere di questi autori sono conservate alla Galleria d'Arte Moderna di Torino.


Massimo d'Azeglio,
La Sacra di San Michele


IL RITRATTO NEL PRIMO OTTOCENTO

I pittori romantici si abbandonano all'immaginazione con sentire esaltato per cogliere l'infinito e l'indefinito, rifiutano il presente per abbandonarsi al sentimento che trasfigura il passato e lo evoca in modo epico. Il ritratto diventa la proiezione di un io esagitato, che non è mai una precisa individuazione di un carattere ma l'espressione di un sentimento: i ritratti sono dunque dipinti di stati d'animo.

Per i pittori neoclassici dello stesso periodo qualunque realtà, perciò anche il ritratto, ha valore solo se viene stilizzata in una forma ideale di perfezione e di bellezza. Essi rinunciano all'immaginazione che è esaltata dai romantici e invece ricorrono all'eleganza della definizione lineare, allacciandosi alla tradizione umanistica e neoplatonica per raffigurare la borghesia nascente e trasfigurando la realtà contemporanea con uno stile che vuole esprimere una forma ideale. Dal punto di vista tecnico i pittori neoclassici e quelli romantici non si distinguono in modo particolare, perchè provengono alla fin fine dallo stesso ambiente accademico: la pittura è sempre ben rifinita, liscia, non si devono scorgere le pennellatee e la materia pittorica è stesa come un velo secondo la tradizione scolastica. Rispetto al Barocco e al Rococò gli stili e il linguaggio cambiano ma non muta sostanzialmente la tecnica.

Fra i ritrattisti più significativi della prima metà Ottocento piemontese (tutti i pittori che vogliono essere ritenuti tali sono in grado di eseguire un ritratto) si possono ricordare perché si sono distinti non solo nell'ambito piemontese, ma anche nelle altre regioni italiani ed europee: Lorenzo Pecheux, Giuseppe Mazzola, Carlo Antonio Porporati, Pelagio Pelagi, Giovanni Battista Biscarra, Felice Cerruti Beauduc, Andrea Gastaldi, Angelo Beccaria, Francesco Gonin, Eleuterio Pagliano, Pietro Ayres, Ferdinando Cavalleri, Luigi Vacca, Carlo Arienti, Carlo Bellosio, Enrico Gamba.



Felice Cerruti Beauduc,
Ritratto di ignoto


IL RITRATTO REALISTICO

Verso la seconda metà dell'Ottocento il sentire dell'uomo cambia profondamente e le disquisizioni tra i Romantici e i Classicisti appaiono sempre più esercitazioni accademiche, retoriche e vuote di significato. Nell'Europa nasce il Positivismo che rapidamente si diffonde anche in Piemonte e Torino diviene il centro più importante d'Italia, non solo della speculazione filosofica teorica ma anche della ricerca scientifica che direttamente ne deriva.
Nell'arte si fa sempre più strada il Realismo. I pittori rinunciano all'immaginazione romantica, alla ricerca neoclassica di moduli antichi, ma guardano l'individuo concreto, reale, perché la realtà è degna di essere amata e dipinta per quel che è, a scapito della tradizione e del vuoto idealismo. Il modello da ritrarre ha una sua dignità e non deve essere inventato, modificato e rappresentato in modo tale da offrire soltanto un aspetto verosimile. Il pittore deve essere assolutamente fedele al modello e tutto deve concorrere all'espressione del carattere dell'individuo, del dramma naturale d'ogni singolo uomo.
Il Neoclassicismo, invece, secondo il parere della nuova generazione di pittori, opera sempre una deformazione preconcetta tolta dal passato che ormai è ritenuta falsa e priva di significato.
Così anche la furia romantica a poco a poco si placa nel Realismo che altro non esprime che la coscienza laica moderna. Allora ecco che si dipingono gli umili, poiché tutti gli uomini sono degni di essere ritratti e non solo più gli esponenti di una classe sociale privilegiata; la cronaca di tutti i giorni assurge al rango di storia. Il bello s'identifica con il vero, e il ritratto non deve essere più espressione dell'alterigia di chi sta al potere, di chi assume la posa esemplare, memorabile e che vuole sempre esprimere un rapporto di distanza.Il ritratto diventa un'immagine quasi confidenziale del quotidiano. Si rinnovano così le forme espressive e le tecniche pittoriche che ora tengono conto della materia, la stesura diventa densa, le pennellate s'intessono fra loro creando una pittura personale già di per sé valida: in sostanza si rinnova tutto il linguaggio iconografico.
Il Piemonte anche in questo momento storico non è isolato dal resto dell'Europa, rimane aperto alle nuove istanze culturali, espressione della rivincita borghese sulla nobiltà e del sentire laico contro il committente ecclesiastico che di gran lunga prevale nel passato. Infatti, molto difficilmente i pittori dell'Ottocento si mettono a raffigurare angeli o soggetti religiosi, poiché tutto il reale è di per sé divino: nell'Ottocento non si sente più il bisogno della ricerca impegnativa di un'immagine di Dio o del Cristo da offrire ai credenti - Un raro esempio di pittore che si è dedicato esclusivamente all'arte religiosa è Enrico Reffo, che grazie alla sua perizia tecnica ha raggiunto alti livelli estetici -. Il ritratto realistico si libera così dalla retorica internazionale del neoclassicismo, e si rifà sempre più alle tradizioni locali, che sono sentite come le vere espressioni della storia vissuta. La timidezza e l'innata modestia del pittore piemontese spesso, però lo ancorano troppo alle sue origini, e il suo impegno lo porta a una troppo evidente aneddotica, a un troppo marcato intimismo, e diventa così il nostalgico poeta della vita rustica. "Prima il vero, poi il nobile". Nella seconda metà dell'Ottocento la disciplina neoclassica si esaurisce con la consorella romantica, e allora diventano esempi da seguire gli antichi Maestri realistici spagnoli e olandesi. Il Realismo diventa l'adeguamento alla dura esistenza di tutti i giorni che si esprime con il semplice linguaggio comprensibile da tutti.
Tra i numerosi pittori di questo periodo che si sono cimentati con il ritratto, si possono ricordare: Rodolfo Morgari, Paolo Gaidano, Gaetano Ferri, Carlo Pollonera, Demetrio Cosola, Pier Celestino Gilardi, Giacomo Grosso, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Alberto Maso Gilli, Guido Gonin. In certi casi l'abilità pittorica arriva a livelli di alta poesia che ci portano ad opere di statura europea, e trascende ogni scolastica esercitazione e ogni decorativismo epidermico, compiaciuto e fine a se stesso del Liberty del fine secolo. Il ritratto della Pensierosa, (alla GAM) di Carlo Bonatto Minella tutta giocata sui colori smorzati e armonizzati in modo raffinatissimo al di fuori di ogni accademia ci guarda triste e ci parla di un sentimento dolce e melanconico, di un amore che non si potrà mai realizzare, perché la morte si avvicina e porterà via l'amato. Oppure si osservi Il ritratto di Palmina di Pellizza da Volpedo conservato alla GAM, e gli altri suoi ritratti (Un triste ricordo, Autoritratto, ecc.) per rendersi conto dell'altissimo livello artistico che hanno raggiunto certi pittori piemontesi, al di sopra di ogni riduttivo giudizio di provincialismo.


Giuseppe Pellizza da Volpedo,
Autoritratto, 1898


LA PITTURA DI STORIA

Il genere storico è stato particolarmente coltivato nel Piemonte ottocentesco, anche se non ha raggiunto altissimi livelli artistici - tranne che in pochi casi. La sua diffusione si deve attribuire innanzi tutto al messaggio civile che questo genere comporta, soprattutto se si tiene conto di tutta l'attività politica e militare del Piemonte che si attua nelle guerre del Risorgimento. Le premesse teoriche del genere storico si trovano nell'Illuminismo (in Italia spicca l'intuizione della storia e della missione dell'uomo del Vico) e nel Romanticismo con la presa di coscienza della libertà dei popoli e con la rivalutazione della storia vista come creazione umana, e non più come un insieme di allegorie superficiali dell'Arcadia e del Rococò.
Il Romanticismo e il Neoclassicismo sono i due volti della nuova coscienza storica e del nuovo impegno laico e civico dell'uomo ottocentesco: l'anelito per un Medio Evo sognato e un'Antichità classica immaginata nascono contemporaneamente e le pitture che ci sono pervenute lo dimostrano chiaramente.
In Piemonte si assiste ad un duplice movimento artistico: uno cerca di glorificare la dinastia dei Savoia e le loro imprese, l'altro cerca nella storia la vivente verità della tradizione piemontese. Si vuole cantare la storia patria e la sua origine barbarica che va ricordata con tutta la poesia della sua civiltà. La storia è magistra vitae, perché proprio dallo studio della storia nascono le forze che ci permettono di combattere la tirannide, le superstizioni, il feudalesimo, lo strapotere della Chiesa, il dominio straniero, l'assolutismo. Pietro Giannone a Torino insegna che bisogna studiare gli antichi romani e i loro costumi per combattere le ingiustizie, le mollezze, i privilegi di una civiltà che è destinata a scomparire grazie alla possente rivendicazione di uno stato laico. Anche l'Alfieri dà il suo contributo teorico ed artistico, che sarà frutto d'ispirazione per le nuove generazioni. I pittori che si rifanno ai criteri estetici neoclassici, vale a dire l'impegno di imitare il rigore della statuaria greca e romana, esprimono un possente desiderio di una perfezione formale sempre più alta, ma in realtà non seguono alla lettera i precetti della loro poetica e si rifanno soprattutto ai maestri del Cinquecento (Raffaello, Pietro da Cortona, Leonardo per il suo sfumato che dà unità atmosferica alla scena). Le numerosissime pitture di genere storico si possono trovare in tutte le Dimore sabaude, nel Palazzo Reale, nel Museo del Risorgimento, nelle Chiese neoclassiche (San Massimo) e alla GAM. I pittori provengono tutti dall'ambiente accademico o sono stati chiamati direttamente dai Savoia e non solo dipingono soggetti direttamente legati alla Casa regnante ma anche episodi o personaggi o fatti d'arme piemontesi o le battaglie del Risorgimento che danno lustro alla storia italica e sono un continuo ammonimento per il messaggio morale che trasmettono. A titolo d'esempio si possono ricordare Biscarra, Bollasio, Ayres, Gamba (I funerali di Tiziano), Andrea Gastaldi (Pietro Micca), Gaetano Ferri (Lutto in Piemonte), Alberto Maso Gilli, Carlo Bossoli, Stanislao Grimaldi del Progetto, Giuseppe Ponticelli, Ludovico Raymond.


Andrea Gastaldi,
Pietro Micca, 1858


La ricostruzione romantica del Medio Evo sognato si esplica in modo particolare in un genere che è molto apprezzato nella prima metà del secolo, cioè lo stile troubadour, portato in auge particolarmente da Giovanni Migliara e da Massimo Taparelli d'Azeglio. In una natura romanticamente dipinta con grandiosi e inverosimili alberi, cascate in luoghi inventati, boschi sospesi su monti del tutto improbabili, valichi insormontabili si svolgono battaglie storiche (Il passo delle Termopili, Il Carroccioe la battaglia di Legnano), o episodi edificanti (La morte del conte Josselin di Montmorency): gli uomini sono piccolissimi (in fondo sono poca cosa nel cosmo in continuo divenire), immersi in una natura lussureggiante e maestosa che non rispecchia per nulla la realtà che proprio non interessa (nella foresta s'incontrano le ninfe, non i sudati boscaioli!).


Massimo d'Azeglio,
Il Carroccio e la battaglia di Legnano, 1830


Verso la seconda metà dell'Ottocento, la committenza di dipinti con soggetto storico si fa sempre meno sentire, anche perché l'impeto romantico e rivoluzionario si va smorzando: ormai l'unità d'Italia è stata effettuata e ora bisogna lavorare con moltissimo impegno per rimarginare i disastri compiuti dalle guerre. Non c'è più spazio per le esaltazioni patriottiche. Gli ultimi dipinti del genere storico rivelano solo il mestiere del pittore, privo di uno slancio emotivo profondamente vissuto e si risolvono in documenti di vuota retorica.
Verso la fine del secolo si fanno valere in modo sempre più pressante le rivendicazioni sociali con tutte le problematiche connesse e forse l'ultimo esempio in Piemonte di quadro storico di gran valore estetico è
Il Quarto stato di Pellizza da Volpedo: gli eserciti che si scontrano sono sostituiti dagli umili che si raccolgono come le acque di un fiume in piena per rivendicare la loro dignità di uomini che lavorano e faticano.

REALISMO

Anche il Realismo è un concetto difficile da definire. Si tratta di un atteggiamento mentale, che vuole cogliere in pittura la "realtà". Il pittore realista vuole conoscere la realtà, mentre l'idealista non ha come fine primario la conoscenza della realtà, ma quello di elevarla ad un ordine superiore. Spesso si parla anche di Naturalismo, ma in genere il Naturalismo viene inteso come sforzo per arrivare ad una oggettività del tutto esterna delle forme, mentre il Realismo vuole coglierne la giustezza interiore.
Verso la seconda metà dell'Ottocento in tutta l'Europa e di riflesso nel Piemonte, compaiono nuove esigenze spirituali che, ormai stanche dei boschi incantati, delle rovine, dei luoghi selvaggi, delle montagne inaccessibili, dei dirupi, delle tempeste e delle battaglie di eroi del tutto inverosimili, posano lo sguardo sulle cose semplici, sui paesaggi reali, sulla brutalità del vero, sugli uomini che più non combattono per la gloria dei Savoia o della Patria ma per migliorarela loro affaticata esistenza.
Si fa sentire l'influenza della Francia, di Courbet, e soprattutto della Scuola di Barbizon (ThéodoreRouseau, J.F. Millet, J. Duprè, C. Troyon, C.F. Daubigny), che senza presentare una poetica comune, porta un imponente cambio di gusto e di cultura, contribuendo alla rivalutazione del paesaggio secondo i canoni olandesi dei secoli passati e la recente tradizione paesaggistica inglese: si riscopre una visione sincera e scrupolosa della Natura, non più di maniera. Ormai si vuole dipingere la Natura con campi, cascine, boschi, animali dipinti dal vero. Il passaggio dalla vecchia sensibilità alla nuova non è un evento improvviso, ma un lento lavoro interno che a poco a poco si fa strada nelle coscienze degli uomini e, in particolare, dei pittori piemontesi: basti, infatti, come significativo esempio, osservare con viva attenzione l'evoluzione degli acquarelli del De Gubernatis presenti alla GAM. I primi, che sono datati alla fine del Settecento, rispecchiano le tematiche internazionali dello Sturm und Drang (tempeste, luoghi selvaggi, violenti contrasti di luce, stati d'animo inquieti, fremiti incontrollati), poi compare il gusto romantico (ricerca delle rovine medioevali, conventi, chiese dell'antico Piemonte.Ecco nascere quella ricerca della tradizione che si attuerà compiutamente alla fine dell'Ottocento nelle pitture e nelle architetture (Borgo medioevale del Valentino, il neogotico di tante chiese torinesi, ecc.), per poi sfociare nella calma osservazione e descrizione della natura (Studio di tronco di pioppo, 1821, Case rustiche allo stagno del Mulinello, 1832). La ricerca pittorica del De Gubernatis è sempre accompagnata da un attento studio teorico, consapevole dei dibattiti internazionali come lo testimonia il suo scritto sul Bello e il Sublime, argomento intensamente discusso negli ambienti colti di tutta Europa.
Anche la
Raccolta del fieno in Piemonte, 1864 (alla GAM) del Beccaria testimonia il mutare degli interessi e come il romanticismo impetuoso finisca per sfociare in un romanticismo pacato, con le piccole figure di genere immerse in un ambiente idilliaco, con i campi e prati ben curati. Il grande apprezzamento che ha avuto questa tela esposta alla Promotrice di Torino nel 1864, sta anche ad indicare che i Piemontesi non amano i bruschi cambiamenti, ma i lenti trapassi.


Angelo Beccaria,
Raccolta del fieno in Piemonte, 1864


Infatti, all'apparire delle prime opere della scuola di Rivara, le reazione dei Piemontesi benpensanti, abituati alla natura trasfigurata e falsa di un D'Azeglio o di un Camino, sono piuttosto violente: si grida allo scandalo, alla sovversione assurda dei tradizionali canoni estetici per loro così rassicuranti (lo stesso Courbet è rifiutato in Francia perché la sua pittura è ritenuta incomprensibile). Tuttavia il nuovo genere si fa strada nella sua incessante lotta contro la "pigra abitudine accademica".

LA SCUOLA DI RIVARA

Una schiera di pittori si mette a studiare con amore i campi, prende appunti dal vero, termina le proprie opere anche dal vero, si raduna a Rivara e forma un vero e proprio cenacolo. Si parla di cenacolo più che di scuola perché i fondatori (capostipite è considerato Carlo Pittara) non hanno mai elaborato una vera e propria poetica comune a tutto il gruppo. Li accomuna l'amore per la pittura dal "vero", vale a dire usano le montagne, i ruscelli, i pascoli, i boschi, gli scorci rustici ameni e pittoreschi come soggetti da raffigurare e non prendono più in considerazione le tematiche religiose o le gloriose imprese dei nobili casati. Questo atteggiamento è in sintonia con il nascente Positivismo che, importato dalla Francia, si sviluppa in particolare a Torino e costituisce un composito indirizzo filosofico che ricerca la verità nel concreto, nel fatto indagato con rigore delle scienze fisiche, chimiche, biologiche e non più in metafisiche intuizioni astratte.

Anche la storia e la società sono studiate in modo positivo dalla nascente sociologia e pittoricamente raffigurate. Correttamente si può affermare che con la
Fiera di Saluzzo (alla GAM) del Pittara, enorme tela di circa 8 metri per 4, finisca il quadro storico di genere perché, anche se è evocata la Saluzzo del Seicento con il suo sfarzo di costumi (si vedono ancora impiccati sulle torri come antico ammonimento) e tutti i cavalieri, i contadini, i mercanti e i garzoni, in realtà i veri protagonisti della scena sono gli animali, dipinti con rara e commossa maestria (Pittara si è perfezionato con l'animalista Humbert, e i suoi animali sono i più belli, i più sentiti di tutto l'Ottocento - solo i cani di Pietro Morgari e di Giovanni Battista Quadrone nonché i cavalli del Grimaldi possono reggere al confronto -); si possono ammirare cavalli, svariate razze di cani, bestie da cortile, pecore, capre e perfino un'esotica scimmietta. Nella nuova poetica realista trionfano gli animali e gli umili. La realtà di tutti i giorni, la vita dei contadini e dei pastori, assai dura ma ben viva e conosciuta da tutti, è contrapposta ai motivi sognanti e idilliaci del filone arcadico-romantico. Dopo le guerre del Risorgimento le terre piemontesi si sono talmente impoverite che diventano quasi del tutto improduttive, la fame regna sovrana e i contadini dopo una giornata di fatica si sfamano con una fetta di polenta; la tubercolosi decima uomini e animali, e non per nulla viene istituito il Regio Istituto per la Nutrizione.

Anche il modo di dipingere si differenzia dalla maniera accademica neoclassica e romantica: le pennellate non si fondono in una trama sottile e sfumata come era allora prescritto ma si fanno spesse e materiche, si incrociano, modellano volumi, plasmano i corpi; si usa la spatola assai ricca di colore. Al quadro storico si sostituisce il vero, come si vede e si comprende e, a poco a poco, si fa strada la tematica sociale che avrà così grande importanza per tutto l'avvenire. Due opere esposte alla GAM,
Il ritorno alla stalla e soprattutto Imposte anticipate del Pittara (il titolo originale dell'opera esposta a Parma nel 1870 è Sistema infallibile per ristorare le finanze italiane) denunciano chiaramente la questione sociale. Il paesaggio raffigurato con il contadino sul carro e gli alberi abbattuti per pagare le imposte non ha nulla a che vedere con i bucolici campi romantici e l'idillica scena pastorale dove pastori e contadinelle non lavorano ma giocano. Anche il Seminatore, che si trova alla GAM, di Carlo Pollonera, sensibile pittore di paesaggi piemontesi, si può ascrivere alla tematica dell'impegno sociale di fine Ottocento.



Carlo Pittara,
Ritorno alla stalla, 1866


Il cenacolo è in stretto contatto con i fratelli Palizzi, napoletani, che portano le novità dalla Francia (Corot, Pissarro e i loro seguaci) e con i Macchiaioli, particolarmente apprezzati e divulgati nei circoli culturali più aperti. Si ritrovano tra gli altri, oltre al Pittara, il portoghese d'Andrade, il ligure Ernesto Rayper, il toscano Antenore Soldi, il colto e raffinatissimo Vittorio Avondo, Ernesto Bertea trascrittore plastico e luminoso della verità ritratta, Celestino Turletti, Federico Pastoris di Casalrosso, pittore precisissimo di monumenti medioevali per un sentito interesse storiografico atto rivalutare il passato piemontese, e di scene di genere provinciale o ambientate in siti medioevali. Biscarra, Pastoris e Bertea si adoperano per tutelare il patrimonio artistico piemontese e la formazione tecnica e teorica dei nuovi pittori con la fondazione di scuole e musei e numerose pubblicazioni.
All'inizio la critica accoglie in modo tiepido o addirittura ostile questi pittori. Solo alla IV Esposizione Nazionale delle Belle Arti le loro opere, allestite in un padiglione apposito (che diventerà poi la Galleria Civica d'Arte Moderna), ottengono non solo l'approvazione del pubblico ma anche il favore della critica ormai disposta ad accettare la nuova pittura. Tuttavia a questo punto il movimento ha esaurito la sua energia iniziale e a poco a poco si frantuma in una vasta molteplicità di artisti.

ALTRI PITTORI PIEMONTESI DI PAESAGGIO

La pittura di paesaggio viene ulteriormente sviluppata da Lorenzo Delleani. Il suo modo di dipingere, tutto forti impasti, pennellate intrecciate su sfondi appena mesticati, violente spatolate di bianco-grigi per evocare le nubi o la luce del sole che abbaglia attraverso le foglie degli alberi, sono in realtà dei bellissimi bozzetti eseguiti di norma su tavolette di ciliegio, così apprezzate dai pittori per il loro caldo colore rosato che serve anche per intonare tutti gli altri colori. I quadretti del Delleani trovano immediato riscontro nel mercato non solo nazionale per il loro carattere "moderno"; essi preannunciano il disfacimento delle forme, anticipano la pittura "materica" e, se visti in alcuni particolari, quasi fanno presagire il genere "astratto".



Lorenzo Delleani,
Il lago di Mucrone, 1887


Non bisogna dimenticare i paesaggi di Francesco Mosso (noto soprattutto per
La femme de Claude alla GAM), di Vittorio Cavalleri, di Giovanni Giani, di Carlo Follini, di Marco Calderini (Estate nelle Prealpi, e le Rive del Po a Torino, alla GAM), Andrea Tavernier. Particolare attenzione merita Enrico Reycend (numerosi sono le sue tele lasciate alla GAM) che, dapprima seguace della scuola di Rivara, a poco a poco muta il suo stile verso valori luministici dei paesaggi dipinti con tocchi vibrati e perfettamente intonati, tanto che la sua pittura è ritenuta vicina a quello degli Impressionisti francesi, anche se a ben vedere la sua tecnica non ha nulla che possa fare pensare all'Impressionismo. Va notato che l'Impressionismo di norma non era accettato in Italia, in particolare dai Piemontesi che non lo ritenevano consono alla loro sensibilità e tradizione.


Enrico Reycend,
Veduta di giardini e di paese


Particolare attenzione va data al paesaggio esotico. Verso la fine dell'Ottocento in tutta Europa si ha la passione per l'incantato Oriente con i suoi paesaggi di colori smaglianti. In Piemonte questo desiderio di evasione si esprime attraverso le meticolosissime opere - si veda l'insegnamento di Jean-Louis Meissonier - di Alberto Pasini (ad esempio
Il minareto, Alambra a Granata, Il Nilo), e di Giovanni Battista Quadrone che, unico esempio in Europa, sceglie come paese esotico la Sardegna (Ronzino sardo, Alt in Sardegna, Una vecchia berlina, tutti conservati alla GAM).

IL PAESAGGIO DI FONTANESI

Un discorso a parte va fatto per il paesaggismo di Antonio Fontanesi. La preparazione pittorica del Fontanesi è particolarmente ricca: in Svizzera segue il Calame, a Parigi conosce seguaci della scuola di Barbizon, a Londra scopre il linguaggio di Turner, a Firenze incontra i Macchiaioli, senza però mai aderire alla loro poetica, a Tokio, dove è chiamato ad insegnare, viene in contatto con la raffinata pittura giapponese, a Torino, infine, riesce ad ultimare il suo percorso artistico che lo inserisce tra i più grandi pittori dell'Ottocento europeo. Fontanesi parte da una pittura di paesaggio non certo innovatrice, anche se tecnicamente estremamente precisa, (vedi le litografie eseguite in Svizzera), che però preannuncia la sua personale ed alta evoluzione stilistica, come si intuisce da
Il mulino (1858), il cui estremo rigore formale non dà spazio a nessun compiacimento narrativo o descrittivo ma, attraverso uno studiatissimo vibrare di luce fa intuire quello che sarà il suo "paesaggio dell'anima", il suo voler rendere "visibile l'invisibile". Poco dopo compare La Quiete, opera assai studiata derivata da bozzetti elaborati dal vero, la cui resa cromatica e luministica è ottenuta con pennellate variate, minuziose e dense di colore che formano una vibrante tessitura.



Antonio Fontanesi,
La Quiete, 1860

A queste opere segue una ricchissima produzione di studi, abbozzi, quadri compiuti, fino ad arrivare a dei capolavori universalmente riconosciuti come Aprile (1872) e Le nubi (1880), dove la resa dello spazio infinito è data da impalpabili variazioni luminose che stemperano il motivo ricavato dal vero e superano l'accademico concetto di "bello". Pochi, e sempre ripresi, sono gli elementi che costruiscono il quadro: una pastorella solitaria al pascolo vista di schiena, un albero, un ruscello o uno stagno, nubi lontane in un cielo troppo vasto. È la nostalgia romantica che vuole cogliere l'infinito spaziale e temporale anche se sa che è una impresa disperata. Ci avviciniamo al Simbolismo. Lo stato d'animo che provoca la pittura di Fontanesi è quello di una sofferta malinconia, un lirismo struggente che lo pone - l'unico fra gli Italiani - tra i più sensibili poeti del tardo romanticismo europeo. (Tutte le opere citate sono conservate alla GAM).

La tecnica pittorica di Fontanesi - nata da tormentate esigenze emotive ed espressive - si differenzia notevolmente da quella dei suoi coevi pittori, perché è basata su sottili impasti cromatici variamente intrecciati e sovrapposti, su raschiature subito ricoperte da sottili strati pittorici che permettono evanescenti trasparenze, ombre velate per suggerire vibranti e misteriose profondità, sull'impiego di colori puri sovrapposti. Questo modo di dipingere testimonia che verso la fine del secolo decimonono c'è un nuovo mutamento della sensibilità degli artisti che è foriera della drammatica rivoluzione spirituale che si abbatterà su tutta l'Europa.

IL DIVISIONISMO

Alla fine dell'Ottocento i pittori si rendono conto che è impossibile con la sola tavolozza rendere il "vero": i colori e le sfumature sono infinite e la così detta resa della realtà "oggettiva" risulta un miraggio e pura utopia. All'artista non resta che il sapiente uso dei colori, che non appartengono agli oggetti ma alla luce -come già ha intuito molti anni prima Leopardi -, e cercare di evocare con essi la Natura. L'ottimismo naturalistico borghese svanisce, e non rimane che una ricerca intimistica avversa al materialismo della società industriale, ricerca che si apre al sogno e - il passo è breve - al Simbolismo. I colori luce sono gli unici mezzi che il pittore ha a disposizione per oltrepassare la realtà naturale fenomenica e innalzarsi alla più alta verità ideale. I presupposti della crisi che pervade l'Europa alla fine del secolo decimonono si possono riscontrare, oltre che nei vari movimenti francesi, nella sfumata ed evanescente tecnica degli Scapigliati lombardi e nel sofferto cromatismo di Fontanesi. Vittore Grubicy, Gaetano Previati e Giovanni Segantini sono i primi pittori divisionistici italiani. In Piemonte si segnalano Giuseppe Pellizza da Volpedo e Angelo Morbelli che però svolge la sua attività artistica soprattutto a Milano.



Angelo Morbelli,
Il telegramma, s.d.


Alla GAM sono conservati alcuni lavori divisionisti di Pellizza.
Lo specchio della vita "E ciò che una fa, le altre fanno" (1895-98), è un commento divisionista di un verso di Dante. Il soggetto - una lunga fila di pecore che avanza lungo il Curone- è tratto dal vero, accuratamente studiato prima di essere riprodotto ad olio, è ricco di riferimenti simbolistici e richiami a certe istanze preraffaellitiche. La tecnica rigorosa e scientifica, l'uso di colori puri sapientemente accostati, gli permettono di raggiungere slanci emotivi e rendere parimente l'impressione dal "vero" d'intensa luminosità, irraggiungibile con altri mezzi.



Giuseppe Pellizza da Volpedo,
Lo specchio della vita, 1895


Ci sono due pannelli, dipinti intorno al 1901-1904, del pentittico
L'amore nella vita di chiara impostazione simbolista: l'uno vuole rappresentare l'amore carnale, l'altro un vecchio che si scalda a un fuoco presso una chiusa di un ruscello. Il primo è dipinto con una vibrante tessitura cromatica che si allontana dalla realtà - i due amanti sono deformati come visti attraverso una lente - e ci fa entrare in un mondo di sogno, l'altro si regge su un prevalente dominante rosso scuro, inquietante e sentimentale che forse fa intravedere la scomparsa prematura dell'artista. Lo studio per Il ponte ha un impegno sociale di denuncia del faticoso lavoro dei contadini e si colloca accanto alla tematica della Fiumana e del Quarto stato. La tecnica del divisionismo è recepita dai pittori come la tecnica rivoluzionaria che deve essere uno strumento di lotta dell'artista impegnato a cambiare la società. (Non per nulla tutti i pittori divisionisti sono visti come rivoluzionari e schedati dalla polizia).

Il divisionismo non ha vita lunga e presto si risolve nella vena crepuscolare, o in una forma d'espressionismo deformante o nella tecnica prevalentemente usata dai Futuristi del Novecento.




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