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Il Settecento

Pittura

Eugenio Gabanino

Il Settecento è caratterizzato dal consolidamento della Dinastia sabauda e dal primo riconoscimento del regno. Le opere d’arte devono, dunque, testimoniare l’ascesa della classe dominante, rendere noto a tutta Italia e ai grandi dell’Europa che il Piemonte si sta trasformando e sta incrementando il suo potere.
Lo sguardo è rivolto alle scuole più importanti non solo italiane, ma anche europee, a volte a scapito dei pittori locali, i quali sono obbligati dalla committenza a soddisfare i gusti, le mode e a volte i capricci del momento. Non va dimenticato che lungo il corso di tutto il Settecento avvengono profondi mutamenti nel campo dell’arte: si passa da un primo Barocco ancora intriso dei canoni stilistici del Seicento cupo e tenebroso, ad una forma sempre più lieve, fino a sfociare nel Rococò che proviene dalla maniera decorativa dell’ultimo Barocco.
Non si conosce con esattezza l’origine del vocabolo Rococò che i neoclassici usano in senso di disprezzo. Alcuni studiosi lo fanno derivare dal francese rocaille, che significa decorazione di finte pietre e conchiglie per adornare grotte artificiali. La decorazione Rococò è molto fluente, libera e può svilupparsi da forme geometriche, oppure da prodotti naturali asimmetrici e liberamente interpretati (come del resto fa anche il Barocco), e lo stucco, per la sua malleabilità è il materiale plastico d’elezione. False colonne, false trabeazioni, false decorazioni: tutto, e soprattutto gli interni, genera una capricciosa illusione che deve colpire con la sua leggera e bizzarra eleganza. I colori prediletti sono chiari, e il bianco domina con sfumature pastello. Si assiste ad una grande uniformità di stile per quanto riguarda non solo le architetture, ma anche per i mobili, le suppellettili, le laccature, le dorature. Il mondo orientale (esotismo raffinato) incomincia a fare sentire la sua influenza presso le Corti (le cineserie sono la novità di moda e assai ricercate) e, di conseguenza, nelle cerchie di nobili che vogliono essere all’altezza della Casa Regnante.
Nelle pitture compaiono i motivi dell’Arcadia e sono tralasciati i modi grandiosi dell’illusionismo barocco.
I ricchi committenti spesso sono ritratti nelle vesti d’eroi mitologici in atteggiamenti molli ed effeminati.
Dal Nord dell’Europa giungono forme decorative che risalgono alla fluente linea gotica. Il Rococò si diffonde rapidamente per tutta l’Europa divenendo presto internazionale. In Piemonte si ritrova un po’ ovunque nelle palazzine nobiliari (basti pensare a Stupinigi), ed architetti dello stampo dello Juvarra e del Vittone se ne valgono con grande efficacia.

Nel Settecento avvengono le grandi trasformazioni urbanistiche che cambiano i volti delle città. Si pensi a Torino e ai cambiamenti imposti dal barocco dello Juvarra, il quale non solo si occupa d’architettura ma anche dà pareri, spesso condizionanti, sulle decorazioni e sulle opere pittoriche che devono arricchire i palazzi e le chiese. Spesso lo Juvarra sceglie i pittori, i decoratori, gli stuccatori a lui congeniali e li fa giungere da città e stati stranieri. Città come Alessandria, Asti, Novara, Cuneo, sebbene incorporate nella politica unificatrice sabauda, da una parte tentano di non perdere la loro autonomia culturale, dall’altra cercano di adeguarsi al gusto imperante della Corte torinese.

Né va dimenticato che la Chiesa continua ad essere un’importante committente d’opere sacre da esporre nei luoghi di culto (le immagini pittoriche sono sempre la Bibbia dei poveri e degli analfabeti, e valido strumento d’educazione religiosa): il gusto è però sempre quello aulico e retorico della Controriforma, e le opere devono sempre avere il beneplacito dalle autorità ecclesiastiche per non cadere in errori teologici.

Verso la fine del Settecento incomincia ad imporsi il gusto neoclassico. Il Neoclassicismo nasce nel secolo XVIII come tardiva ripetizione delle forme, ormai vuote, dell’antichità greco-romana. I canoni compositivi sono freddi, astratti, prodotti da una sintesi artificiale tra Arcadia e Utopia. La pittura, nata come reazione al Rococò, è prodotta da un impegno culturale e morale e non certo da una forte ispirazione emotiva.
Gli studi filologici si perfezionano e il razionalismo illuministico del tempo non sopporta più le stravaganze del Rococò. Presto s’impone in tutta Europa e diventa un fattore importante della cultura del secolo XIX. Una spinta decisiva al suo sviluppo è data dagli studi archeologici e dagli scavi eseguiti ad Ercolano, a Pompei, a Villa Adriana, al Palatino. L’opera d’arte deve stimolare una composta virilità e fare nascere l’amore per la patria e per i diritti civili. In Italia si afferma con l’avvento di Napoleone.
In Piemonte, divenuto provincia francese, accanto a pitture rococò di frivola fattura compaiono quadri d’impronta neoclassica, di rigoroso impianto formale, freddo e spesso retorico. Non per niente nel 1778 è fondata a Torino l’Accademia delle Belle Arti strutturata sul modello francese, che avrà una importanza decisiva per tutto l’Ottocento non solo per la pittura, ma anche per l’architettura, la scultura, l’incisione e la decorazione. Infine, non va dimenticata l’acquisizione della quadreria del Principe Eugenio, ora alla Galleria Sabauda, (le quadrerie dei Sovrani sabaudi sono state disperse, spesso vendute, e anche distrutte perché ritenute immorali da ottusi consiglieri), che permette a pittori piemontesi di venire a conoscenza di opere, soprattutto fiamminghe, di altissima qualità.


ALCUNI PITTORI PIEMONTESI DEL SETTECENTO

Non è possibile indicare in questo spazio tutti i pittori piemontesi che svolgono la loro attività nel regno sabaudo, perché anche se le botteghe sono molto numerose, spesso non presentano personalità decisamente emergenti, che possano stare vicino ali grandi nomi della pittura italiana del secolo. Degni di nota sono gli svariati influssi stranieri. Molti sono i pittori chiamati dalle più disparate località per decorare edifici pubblici e privati. In questa sede si è voluto, perciò, dare un elenco, anche se sommario, di alcuni pittori le cui opere sono facilmente reperibili e visibili.


Andrietti Ugo Felice detto il pittorino di Alessandria, nasce ad Alessandria nel 1729 (non si sa con esattezza la data e il luogo della morte). Non si hanno molte notizie sulla sua vita e sulla sua attività pittorica . Si ricordano una “Natività con i santi Lucia e Paolo”, una “Santa Caterina e un san Fermo con san Urbano”. Non ha lasciato una impronta pittorica significativa e personale perché il suo stile ricalca la maniera imperante.

Beaumont Claudio Francesco (Torino, 1694-1769). Pittore prediletto da Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III. La prima formazione culturale è fatta presso i Gesuiti, poi si reca a Bologna e a Roma, dove viene a contatto con il mondo classicheggiate dell’epoca. I Savoia vedono in lui una promessa artistica e gli finanziano il soggiorno di studio a Roma, dove diviene allievo di Trevisani, e dove entra in contatto con gli intellettuali della capitale e la poetica dell’Arcadia. A Torino (dove è nominato priore della confraternita di San Luca) gli sono affidati lavori impegnativi e di prestigio nel Palazzo Reale ristrutturato dallo Juvarra. Decora il soffitto del secondo piano con l’Aurora. In provincia si occupa di rappresentazioni religiose prevalentemente nello spirito della Controriforma. A Torino con Juvarra e Alfieri s’interessa della decorazione del Castello di Rivoli (“Sofonisba”, “Ratto di Elena”, “San Giovanni Battista”, “San Pietro”).

Beaumont- Allegoria delle virtù regie

Claude-François Beaumont, Allegoria delle Virtù regie, 1730

Dal 1723 al 1731 si ritrova a Roma dove dipinge la “Beata Margherita di Savoia dinanzi al Cristo”, pittura destinata con quella di San Carlo che comunica gli appestati, alla Basilica di Superga. Nel 1731 Carlo Emanuele III lo nomina Primo pittore di Sua Maestà e in seguito gli conferisce la prestigiosa Croce dei Santi Maurizio e Lazzaro. Con il crescere della sua fama gli è affidato l’incarico di occuparsi anche degli arazzi destinati alla Corte torinese (si hanno numerosi bozzetti ad olio di soggetto prevalentemente storico e mitologico, con impianto mosso e magniloquente). Le sue fonti principali d’ispirazione sono i capolavori di Raffaello e di Rubens: sono storie di Ciro, di Cesare e di Annibale. Nel 1737 dipinge "Il giudizio di Paride" destinato al gabinetto cinese del Palazzo Reale progettato dallo Juvarra. Nel 1738 si occupa della decorazione della grande galleria (che fu poi detta del Beaumont, ora facente parte dell’Armeria reale). Alla Sabauda è conservato un bozzetto per la volta affrescata della Grande Galleria del Palazzo Reale. La sua opera risente dell’influsso di pittori veneti operanti a Corte come Sebastiano Ricci e il Pittone, per il tipico carattere del Rococò veneziano, con spunti che possono essere derivati dal tardo barocco del Solimena, come viene evidenziato dai colori brillanti e dal chiaroscuro fortemente accentuato, dal convulso movimento dei drappeggi, dalla teatralità delle pose, dagli elementi volutamente decorativi. Il Beaumont è anche influenzato dalla pittura napoletana (Solimena e De Mura). Nel 1738 diviene direttore della Scuola di disegno presso l’Università. Il suo insegnamento è sempre accademico e in netta opposizione a tutti i nuovi indirizzi. Negli ultimi anni la sua attività si estende a Pinerolo e a Cuneo. Nel 1755 dipinge la pala del "Beato Amedeo" per la Chiesa del Carmine di Torino, Tra le sue ultime opere si ricorda il "San Lorenzo" per il duomo di Alba.

Borsetti Carlo Bartolomeo (Casetti VC, 1698 - 1759?). Nei primi anni del ‘700 il Borsetti si fa conoscere nelle terre valsesiane come un valente pittore rococò. Lavora come affrescante e decoratore al Sacro Monte di Varallo (1723-24). Nel 1727 dipinge dodici tele raffiguranti i 12 Apostoli per la Chiesa parrocchiale di Boccioleto. In seguito lavora nella Basilica di San Giulio d’Orta, poi nuovamente in Valsesia dove dipinge varie opere di soggetto sacro. A Varallo esegue la “Gloria di San Gaudenzio” (1745) di grande effetto. Nella “Ascensione” della volta della Chiesa di Rima San Giuseppe dà prova di notevole conoscenza della tecnica prospettica. Tutta la pittura di Borsetti denota una sicura padronanza del mestiere, anche se talvolta la bravura tecnica nasconde una debole inventiva personale.


Cantalupi Giovan Battista (Masino, 1732 - Novara, 1780). È un pittore che non si allontana dalle sue terre natie, e che per molti aspetti può essere considerato d’importanza minore e un provinciale. Ciononostante la sua pittura (come si può riscontrare nel Sacro Monte d’Orta) è un esempio di un rococò molto raffinato, e uno dei più avvincenti dell’Italia settentrionale. Si ricordano a Masino i "Misteri del Rosario" (dipinti in un monocromo violetto) e la "Madonna con le anime del Purgatorio".

Cignaroli Vittorio Amedeo (Torino, 1730? - 1800) è uno dei numerosi discendenti di una famiglia di pittori veronesi, il cui capostipite del ramo piemontese è stato Martino (Verona, 1649 – Torino, 1726). Il primo maestro è il padre Scipione che gli dà una prima impostazione basata sulla pittura arcadica veneta, arricchita da varie influenze paesaggistiche bolognesi e olandesi.
Ben presto la sua abilità tecnica e il suo mestiere rigoroso gli valgono la stima della corte sabauda, e di conseguenza dei nobili piemontesi. La sua bottega si amplia notevolmente a causa delle numerosissime commissioni. Il Cignaroli deve probabilmente valeresi anche dell’aiuto di un numero considerevole di lavoranti, di apprendisti e di pittori mestieranti che si occupano a seconda della loro specializzazione di paesaggio, di figure, di costumi, ecc. per cui a volte diventa difficile stabilire se un’opera è autentica o lavoro di bottega. Enorme è stata la sua produzione. Quella delle residenze sabaude in parte è andata dispersa a causa delle continue incursioni (nei castelli di Moncalieri, Rivoli e Venaria non è rimasta traccia dei suoi lavori).

Cignaroli Vittorio Amedeo, Paesaggio con ponticello, sec. XVIII

Si occupa anche di arazzi (esistono ancora cartoni al Museo civico e alla Sabauda di Torino). Nel 1762, anno della nomina di priore della Compagnia di San Luca, viene incaricato della decorazione della Palazzina di Stupinigi, (sovrapporte, salotto del duca Chiablese, e nove grandi tele con scene di caccia per la stanza del re eseguite con chiaro intento celebrativo). In seguito gli sono commissionate vedute dal vero (veduta della Vigna Reale per il futuro Vittorio Amedeo III). Nel 1778 è nominato professore di pittura nella Regia Accademia di Torino. Nel 1782 è nominato "regio pittore in paesaggi e boscareccie". Nel Palazzo Reale sono conservate le sovrapporte dell’appartamento di madama Felicita. Con la collaborazione del figlio Angelo continua la sua opera di vedutista. Sue pitture sono conservate nel castello di Agliè, a La Loggia, a Palazzo Chiablese di Torino e in numerose collezioni private.

Cuniberti Francesco Antonio (Racconigi, 1716 - 1753). Svolge la sua attività di quadraturista soprattutto a Savigliano ("San Francesco", "La Trinità", "San Michele" nella chiesa di San Francesco); Alba, Duomo di San Lorenzo ("Elia rapito dal carro di fuoco", "Vergine del Carmelo"); Racconigi (Chiesa di San Domenico).

De Grott Giovanni Antonio (Arona, 1664 - Scopa, 1719). Di origine olandese, ma attivo in Valsesia dimostra di avere avuto rapporti con scuole pittoriche di Milano, di Roma e di Venezia. Compie un viaggio in Olanda e dipinge affreschi nel palazzo reale di Amsterdam. Ritornato in Italia si stabilisce a Varallo ("San Rocco tra gli appestati", "I Martiri nell’anfiteatro", "San Gaudenzio estingue un incendio", "La Natività e l’Adorazione dei pastori"). Nel Sacro Monte si trova il "Battesimo di Costantino". Si ricordano ancora una "Natività del Battista" e una "Madonna della Misericordia". La sua pittura è caratterizzata da un grande equilibrio formale e da una salda impostazione accademica che hanno influenzato il Borsetti.

Galliari Bernardino (Andorno Micca, 1707 - 1794), Fabrizio (Andorno Micca, 1709 - Treviglio, 1790), Giovanni Antonio (Andorno Micca, 1714 - Milano, 1783). Bernardino è soprattutto figurista, Fabrizio quadraturista e Giovanni Antonio paesaggista e prospettico. Hanno i primissimi rudimenti dal padre Giovanni che è un pittore e un frescante e completano la loro formazione a Milano.
Malgrado non siano rimaste molte opere del periodo della loro apprendistato milanese, dimostrano fin da allora delle doti indiscusse se vengono chiamati ad Innsbruck per eseguire decorazioni in occasione delle nozze di Maria Amalia di Polonia. Nel 1749 si stabiliscono a Cremona. Attorno agli anni 40 hanno le prime commissioni dai Savoia. A Torino svolgono la loro attività soprattutto nel campo della scenografia. Sono del 1753 i bozzetti per i sipari del Teatro Carignano e del 1756 quelli per il Teatro Regio.

Bernardino Galliari, Le nozze di Bacco e Arianna

Nelle composizioni pittoriche si ha una completa fusione delle personalità dei fratelli: la grazia delle figure di Bernardino si unisce armoniosamente al colore delle cornici ornamentali e illusionistiche di Fabrizio. Nelle scenografie c’è la tendenza ad una progressiva semplificazione fino ad arrivare ad una inquadratura architettonica in primo piano e un paesaggio sullo sfondo. La loro fama si estende non solo nel Nord Italia, ma anche all’estero (Berlino, Parigi). A Milano dipingono le scene per "L’Europa liberata" del Salieri in occasione della inaugurazione della Scala nel 1778. Sono stati i titolari di scenografia alla Scala fino al 1780. Lasciano un’impronta significativa nell’insegnamento della prospettiva e della scenografia. Sono stati maestri di numerosi pittori vedutisti, non solo di origine lombarda, e il loro insegnamento è ricordato negli ambienti accademici di Torino e di Milano per tutto l’Ottocento.

Grassi Vittorio Amedeo (Caluso, 1725 - Torino, 1796?). Svolge la sua opera di stimato ritrattista presso la Corte sabauda. Presenta anche una attività di decoratore per le reggenze dei Savoia e di pittore di opere sacre per il Clero ("San Michele" a Felizzano, "L’Angelo Custode" a Moncalvo). La sua pittura pare influenzata da quella d’oltralpe. Il Grassi raggiunge momenti di gradevoli effetti dovuti anche alla sua notevole maestria.

Guala Piero Francesco (Casale Monferrato, 1698 - Milano, 1757). Il primo insegnamento l’ha dal padre Lorenzo. Le prime opere ("Il sogno di Giacobbe", la "Disfatta degli Albigesi" e "L’Angelo Custode" del 1725) risentono delle caratteristiche della pittura locale influenzata sia dalle scuole lombarde sia da quelle emiliane, data la posizione di confine di Casale. Risente anche degli influssi della pittura genovese - a Voltri dipinge "Il Martirio di San Fedele". La sua fama a poco a poco si accresce e gli procura numerosi incarichi. Degno di memoria è il "San Bartolomeo che battezza i reali d’Armenia" a Trino. È noto come valido ritrattista (ritratto del Conte Filippo Sannazzaro e dei Conti Scarampi).

Piero Francesco Guala, Il figliol prodigo, 1740

Numerose sono le chiese affrescate nel casalese e nel vercellese. Per la collegiata di Lu Monferrato dipinge una delle opere più famose: "I Canonici di Lu", caratterizzata da colori smaglianti. Esegue numerose pale per Casale ("I miracoli di San Domenico") nella chiesa di San Domenico, dove dipinge anche gli ovali raffiguranti gli Apostoli e i Profeti. Nel 1756 si trasferisce a Milano per compiere l’ultima sua opera, "L’Assunta", destinata alla sacrestia di San Francesco da Paola.

Mazzola Giuseppe Pietro (Isonzo di Valduggia, 1748 - Milano, 1838) è uno dei pittori più significativi che stanno a cavallo tra il '700 e l ’800 e che entrano nella cerchia della corte sabauda. Ha la prima formazione a Parma dove acquisisce un rigoroso mestiere alla scuola del Ferrari. Nel 1775 la corte sabauda gli commissiona una Sacra Famiglia e una serie di ritratti per i marchesi di Tournon e i conti di Tonengo. Nel 1777 Vittorio Amedeo III lo invia a Roma dove entra nella scuola del Mengs, di cui nel 1779 diviene erede testamentario. La sua arte, espressione del tardo barocco, si arricchisce delle nuove istanze estetiche neoclassicheggianti ("Pio V benedicente la città di Alessandria", 1778). Nel 1787 dipinge "Marte, Venere e Cupido, e Anfitride sul carro tra Nereidi e Tritoni", quadro che regala a Carlo Felice in segno di riconoscenza verso i Savoia per essere stato nominato insegnante alla Accademia delle Belle Arti di Torino.

Mazzola Giuseppe Pietro, Angelica e Medoro, 1783

Per le nozze di Vittorio Emanuele duca d’Aosta con Maria Teresa d’Asburgo e Lorena esegue uno dei quadri più ammirati per perizia tecnica e per i suoi rimarchevoli effetti cromatici ("Le nozze di Peleo e Tetide", Galleria Sabauda di Torino). Si evidenzia l’insegnamento di Mengs nell’estrema eleganza compositiva, nel disegno perfetto e nei colori vivi e nitidi. Proprio per questo quadro Mazzola viene nominato pittore di Corte dal re Vittorio Amedeo III di cui, nel 1783, in occasione della fondazione dell'Accademia delle Scienze di Torino, esegue uno splendido ritratto. Verso la fine del Settecento si ritira in Valsesia, dove esegue opere sacre ("San Pasquale", "San Filippo Neri in estasi di fronte alla Vergine", "L’Assunta"). Anche se gli è stato amputato il braccio destro, continua a lavorare, dipingendo con la mano sinistra. Napoleone ne ammira le doti e lo nomina pittore di colorito presso l’Accademia di Milano, dove nel 1838 muore, lasciando una notevole mole di studi, di abbozzi e di quadri che dimostrano la sua indubbia dote di pittore e di insegnante.

Milocco Michele Antonio (Piode VC? - Torino, 1772). All’età di 15 anni lo si trova a Torino – suo padre è cuoco del principe di Carignano. La sua formazione pittorica è contemporanea a quella del Beaumont di cui è collaboratore, anche se artisticamente meno dotato, ma padrone di tutto rispetto delle tecniche pittoriche. È apprezzato dalla Corte sabauda. Nel 1711 è a Roma dove frequenta l’Accademia di San Luca dove risulta vincitore di un primo premio come pittore. Ritornato in Piemonte, diventa un apprezzato pittore di soggetti sacri (si ricorda la pala di “San Genesio e San Francesco di Sales” per la parrocchia di Perosa, e pale destinate a Luserna dopo la cacciata dei Valdesi). Attorno agli anni 30 lo si ritrova a Torino come decoratore di residenze sabaude e della nobiltà torinese (Palazzo Reale, stanza della regina; Stupinigi, Palazzina di caccia). Negli anni successivi ritorna a pitture di carattere religioso per Guarene “I quattro Evangelisti”, a Fossano “La Trinità”. Contemporaneamente si occupa della decorazione di case, di finestre, di porte e sovrapporte, carrozze, grottesche, scenografie per il Teatro Regio. Numerosissime sono le pitture che si possono riscontrare nelle chiese di Torino (chiesa del Carmine, Consolata), di Asti (chiesa della Annunciata, Cattedrale) a Moncalieri (collegiata di Santa Maria).

Molinari Giovanni Domenico (Caresana VC, 1721 - Torino, 1793). Le sue doti artistiche lo introducono precocemente nell’ambito dell’insegnamento accademico; fa le prime esperienze di apprendista presso il Beaumont. Nel 1736 entra nell’Accademia Regia dove nella maturità diviene insegnante titolare (1778). Dal 1745 al 1769 gli è stato dato l’incaricato di trasportare i bozzetti del Beaumont (storie di “Cesare, Annibale e Ciro”) su cartoni per l’arazzeria di corte. È stato fedele discepolo del Beaumont e il suo modo di dipingere rispecchia fedelmente quello del maestro. Infatti gli è stata data la commissione di terminare le sue composizioni non finite (Santa Maria della Scala a Moncalieri, camera da parata della duchessa Maria Teresa d’Este nel Palazzo Reale). Molto importante è anche la sua attività di ritrattista (ritratti di Vittorio Amedeo III, della Regina e delle Principesse). Notevole esempio dell’attività pittorica secondo i più ortodossi canoni della maniera accademica dell’epoca, è la raffigurazione del Duca di Savoia in veste di antico guerriero romano per simboleggiare la sua “virtù” di sapore antico. Un altro aspetto della prolifica attività del pittore è la sua produzione di soggetti sacri, che sono stati spesso modelli per gli incisori di corte (“Santi Gaspare Bono e Santo Stefano”,” Madonna del Carmine e i Santi Agostino e Antonio abate”, “Assunta con i Santi Matteo e Giorgio”).

Operti Pietro Paolo (Bra, 1704 - 1793). La sua attività pittorica si svolge essenzialmente nel cuneese e nel vercellese. La sua formazione avviene a Bologna dove studia le opere del Carracci. Ritornato a Bra, forse per mancanza di mezzi finanziari, si dedica alla decorazione di numerose Chiese (Santa Chiara e Chiesa dei Frati Minori, Santa Maria del Giglio “L’Immacolata” e “L’Addolorata", l’Oratoroio di San Rocco “Gesù e la Vergine”, “San Giuseppe, San Rocco e l’Angelo Custode”, “Sant Andrea Avellino in orazione”, “San Matteo” al Seminario. La sua pittura, in genere fredda e dura non lascia un’impronta significativa nella storia dell’arte.

Pietro Paolo Operti, Medaglione nella volta della sala delle Quattro stagioni, Palazzo Valfré di Bonzo, Bra (CN)

Orgiazzi Giovanni Antonio (Varallo Sesia, 1725 - 1790?) è il capostipite di una schiera di pittori che operano nell’area valsesiana, con un’impronta tipicamente tardo barocca. L’influenza delle caratteristiche del rococò si riscontrano nel suo modo di dipingere, molto luminoso e fresco, spesso con effetti virtuosistici.
È punto di riferimento per moltissime opere decorative del Piemonte del Nord. Nella sua bottega molto fiorente lavorano anche i quattro figli. Si ricordano le decorazioni della Basilica del Sacro Monte di Varallo. Il suo capolavoro viene ritenuto la “Esaltazione della Croce” per la Parrocchia di Carpignano Sesia. La sua attività si estende anche alla decorazione di Chiese di minore importanza. L'opera più nota è ”L’Ultima Cena” del sacro Monte.

Paladino Giuseppe (Guarene, 1753 - 1828). Le sue doti pittoriche sono state notate dal mecenate Traiano Giuseppe Roero che lo manda a studiare a Torino nel 1770. Ha fatto le prime esperienze pittoriche nel Castello di Guarene, dove affresca in monocromia le quattro stagioni (1772,1776). Nel 1780 è membro della Confraternita di San Luca. All’Accademia delle Belle Arti diviene allievo del Pécheux e vince un primo premio di pittura con il “Domine quo vadis”. Nel 1785 è a Parigi. Nel 1789 è a Torino dove decora l’appartamento dei Duchi d’Aosta nel Palazzo Reale. La sua arte in questo periodo risente della maniera romana e di influssi del barocco genovese. La sua produzione sacra è dispersa in numerose chiese: Grugliasco, Pinerolo, Moncenisio, Testona (“Annunciazione”). Alcuni suoi dipinti sono divenuti soggetti per una riproduzione grafica. La sua attività continua fino al momento della Restaurazione, con una iconografia emblematica di tale periodo.

Pécheux Laurent (Lione, 1729 - Torino, 1821)
Il pittore è di origine francese. Ma per il suo lungo soggiorno in Italia e in particolare per essere stato l’elemento chiave per la rinascita della Regia Accademia di Torino, può essere considerato un vero piemontese di adozione. A Roma nel 1753 il Pécheux è in contatto con i più noti pittori del momento, con il Mengs, direttore dell’Accademia di Francia e Batoni. In questo periodo dipinge “Diana ed Endimione” e nel 1762 “Ratto di Deianira” ispirato all’opera di Guido Reni, ora alla Sabauda di Torino. Le "Storie di Alessandro" sono nel Museo civico di Palazzo Madama. Per le non comuni doti di pittore è stato insignito di numerosi riconoscimenti a Bologna, a Parma, a Roma. Anche se egli si considera pittore di argomenti storici, è stimato un valente ritrattista di fama internazionale. A Torino nella Sabauda e alla GAM esistono due suoi interessanti autoritratti. Nel 1777 giunge a Torino chiamato da Vittorio Amedeo III a dirigere l’Accademia fondata nel 1778. È stato nominato pittore di Corte, maestro di nudo, di disegno e di pittura. La sua attività didattica è impregnata della cultura neoclassica di stampo romano.

Pécheux Laurent,Venere, 1782

Il Pécheux istituisce corsi di disegno su modelli classici e dà vita alla prestigiosa gipsoteca che è stata poi chiamata Albertina. Decora con soggetti mitologici gli Archivi del Palazzo Reale. Con il suo modo di dipingere – stile tipicamente neoclassico - dà una notevole impronta di novità alla pittura torinese. Si dedica anche alla sacra decorazione. Alla GAM di Torino esiste un bozzetto di una Crocifissione. Si ricorda la pala di Vercelli del “Beato Amedeo intercedente per la Santissima Trinità per il suo popolo afflitto dalla peste” per la chiesa di San Domenico. Per il Palazzo Reale esegue pitture con soggetti presi da storie antiche che successivamente serviranno da modelli per arazzi (“Achille afflitto per dover cedere Briseide ad Agamennone”, 1778 Castello di Agliè). Anche durante la dominazione francese conserva il ruolo di direttore dell’Accademia. Alla Sabauda è presente il “Bacco adolescente” del 1801. Muore nel 1821 ricco di gloria.





Pécheux Laurent, Ratto di Dejanira, 1762

Pécheux - Ratto di Dejanira

Pelleri Lorenzo (Carmagnola, 1702-?). Di formazione accademica. Si perfeziona a Roma sotto la guida del Conca. A Carmagnola si hanno “L’Apparizione della Vergine e del Bambino a San Francesco”, “L’Immacolata”, “Carlo Emanuele III e Vincenzo Sebastiano Beraudo di Pralormo”; a Chieri il “Santissimo Sacramento”, “La Fede, la Speranza e la Religione”, “Santa Margherita da Cortona”.

Peracino Lorenzo il Vecchio (Cellio VC, 1710 - 1790). La sua intensa attività si svolge soprattutto nelle aree della Valsesia. È il capostipite di una folta schiera di pittori che divengono suoi collaboratori nelle numerosissime committenze prevalentemente di carattere sacro. La sua formazione è quella di un autodidatta molto dotato, particolarmente affascinato dagli studi prospettici, specialmente quelli del Pozzo e della sua scuola. Anche il Sacro Monte influenza la sua maniera artistica che si manifesta anche in opere scultorie e architettoniche. È, infatti, ideatore di Sacre cappelle di cui è stato un autentico specialista, tutte diffuse nell’area della Valsesia. Sono note anche pale d’altare, “L’Assunta” a Carpignano Sesia e la “Predica del Battista” a Serravalle. La sua pittura presenta effetti di virtuosismo cromatico e di illusionismo prospettico che si possono ammirare in molti luoghi del Piemonte, ad Ossola, a Rima, a Lenta, a Bocogno ecc.

Pianca Giuseppe Antonio (Agnona di Borgosesia VC, 1703 - ?). La sua produzione artistica, di cui si conservano i documenti, si concentra attorno la metà del Settecento. Non si hanno notizie certe sulla sua formazione pittorica. Probabilmente si reca a Milano per compiere i primi studi dove viene in contatto con il nascente Rococò internazionale. Conosce l’opera del Magnasco. Si ricorda l’opera giovanile “L’Immacolata” a Pescarenico. Nel Duomo di Novara si conservano cicli di pittura, ispirate a un caravaggismo secentesco di origine lombarda, con un’impronta cupa, tenebrosa, tormentata fino a divenire quasi macabra. Ad Agnona nel 1742 è riconosciuto come pictor insignis. Nel 1745 realizza il ciclo pittorico più famoso: “Il martirio di San Isidoro Agricola”, “Il Transito di San Giuseppe”, “La Pazienza di Giobbe” e “L’Assunta”. La pittura del Pianca si esprime anche in nature morte, ritratti e paesaggi. Nella parrocchia di Agnona si trovano il “San Carlo che comunica gli appestati” e “Sant'Antonio e l’usuraio”, che sono le ultime sue opere di cui si hanno sicure notizie (1757). La sua maniera di dipingere è tipicamente tardo barocco, con un fare largo che segna l’inevitabile passaggio alla nuova maniera moderna.

Porporati Carlo Antonio (Torino, 1741- 1816). La sua formazione è quella d’ingegnere civile e militare. Per le sue notevoli doti di topografo (vedi il Piano della città di Asti), è mandato da Carlo Emanuele III, per espresso invito del suo ministro Bogino, a Parigi dal 1768 al 1773 per approfondire gli studi presso la scuola di Wille. Dal bulinista Beauvarlet apprende una raffinata e virtuosistica tecnica d’incisione. Nel 1773 è nominato accademico della Académie Royale. Vittorio Amedeo III nel 1778 fonda la Regia Accademia e lo richiama a Torino dove diviene direttore della scuola di incisione e conservatore dei disegni e delle stampe del re. Si specializza nelle nuove tecniche incisorie, soprattutto nella maniera punteggiata e quella nera diffusa in Inghilterra. La sua fama si diffonde in tutta Europa e riceve importanti commissioni dalle Corti e dalla nobiltà. In seguito è chiamato a Roma e a Napoli (1793-1797). Negli ultimi anni, ridotta la sua attività di incisore per problemi di vista, ottiene la carica di direttore della scuola di disegno lasciata vacante dalla morte del Palmieri. Si spegne nel 1816.

Trono Alessandro (Cuneo ?, ? - Torino, 1871). Non si hanno notizie certe né del luogo di nascita, né della data. Si allontana dal modo di dipingere della scuola del Beaumont come testimoniano il quadro “Cristo nell’Orto” a San Filippo, e nella Chiesa dell’Immacolata Concezione la "Predica di San Vincenzo de’ Paoli", ma la sua maniera è sempre ancorata alla produzione barocca settecentesca. Diviene pittore di Corte e lavora con i Maestri chiamati da Vittorio Amedeo III. Le sue opere si trovano in molte chiese di Torino e del cuneese (“Pala del Suffragio” a Cuneo, “Crocifissione” a Racconigi, “Flagellazione” a Cavallermaggiore). Si dedica alla decorazione per la Confraternita di San Sebastiano di Cuneo con la collaborazione di Pietro Antonio Pozzo. Altre opere, sempre di carattere sacro, si trovano nella Sacrestia di San Lorenzo a Torino.




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