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Il '600

Pittura


La pittura piemontese del ‘600 rispecchia fedelmente le vicende della casa sabauda, delle continue lotte per l’ampliamento del ducato, del trasferimento definitivo della capitale a Torino e delle molteplici committenze del clero tese a fare fronte all’espandersi in Europa delle istanze della Riforma.
In Piemonte si costruiscono palazzi, ville, giardini, luoghi di delizie, edifici pubblici e privati (Venaria Reale, Castello del Valentino, ecc.) decorati per dimostrare di essere all’altezza delle più importanti casate europee. Per questo sono chiamati artisti da paesi italiani ed esteri (si pensi a Van Dyck, al Guercino, a Cristina di Francia che si vale di pittori parigini come Charle Dauphin, ecc.) e nascono botteghe con maestranze che, per soddisfare le esigenze dei committenti, seguono il gusto spagnolo, francese o fiammingo.
Anche in Piemonte si sviluppa quella civiltà dell’immagine, genericamente chiamata Barocco, che nasce dalla crisi del Rinascimento e dal superamento del Manierismo.
L’espressività del Barocco è ambigua, come appare anche dai giudizi diversi che su di esso vengono dati. Alcuni rilevano i falsi valori, il vuoto artificio, l’enfasi fine a se stessa, altri invece ritengono che il Barocco non sia altro che l’estrinsecazione di un aspetto eterno dell’anima umana, quello della creatività irrazionale:
una categoria dello spirito teorizzata e volutamente coltivata.

Il Barocco si manifesta nell’ossessiva ricerca del moto, del ritmo spezzato, della stupefacente impostazione scenografica. Tutte le attività dello spirito sono tradotte in immagini. La vita quotidiana, la ricerca scientifica, la speculazione teologica, la lotta politica, le scene di corte sono tutti spunti per la continua costruzione di immagini stupefacenti. La crisi religiosa che ha travagliato il ‘600 pone l’uomo in uno stato di perenne angoscia perché scaraventato in una natura utile solo come fondale di un teatro in cui egli è costretto a recitare la sua parte per ottenere la salvezza eterna.
L’arte pittorica deve rappresentare tutto questo immenso e contraddittorio dramma.
La pittura, sempre ritenuta imitazione, non sa più che cosa in realtà debba imitare; allora solo i capricci di una fantasia sfrenata sono degni di essere dipinti.
Il Manierismo, apparso come la continuazione del Classicismo cinquecentesco, di fatto è risultato un insieme di immagini che solo in superficie hanno le strutture razionali classiche: un formalismo fine a se stesso che si rifà a forme astratte prive di un vero aggancio con la realtà. Dunque la forma bella non è più quella razionalmente costruita, esattamente delineata, bensì un’immagine generata da una fantasia libera di creare sotto la spinta di una viva emozione drammatica.
La Chiesa, appena riesce a contenere la tempesta della Riforma, rivaluta l’immagine come pratico mezzo per diffondere la fede e celebrare il trionfo sulle eresie. Ma mentre i testi sacri non riescono più a spiegare in modo convincente la realtà che ci circonda, la scienza li descrive e illustra in modo sempre più preciso:
allora la natura non sia più oggetto di ricerca e di studio da parte dei pittori ma interessi solo come allegoria morale e come suscitatrice di pensieri e emozioni edificanti.
La potenza delle immagini deve agire su tutti gli uomini, dai re agli umili servi e le stesse strutture del potere temporale debbono inchinarsi ai messaggi educativi che esse trasmettono: la Chiesa trionfante e l'imitazione dei Santi per una vita devota.
La pittura diventa oratoria celebrativa. L’artista acquista un ruolo sociale meno importante di quello avuto nel ‘500, dove era il protetto e il consigliere di re e di papi. Però diventa un autonomo professionista che ha l’obbligo di dimostrare somma conoscenza tecnica del suo mestiere.
La maniera grande, la monumentalità, diventano l’espressione di una classe sociale elevata investita da Dio per svolgere una missione provvidenziale in questo mondo. Solo l’allegoria è capace di rappresentare tale alto concetto, sottolineato in tutti i modi da coloro che eletti si ritengono, e gli autori classici diventano fonte inesauribile d’ispirazione: Ovidio, Virgilio, Omero offrono infiniti spunti per identificare i principi, i papi,
i condottieri, le dame con gli antichi dei, eroi ed eroine del passato; ma il tutto sempre dipinto sotto sembianze credibili affinchè la scena allegorica sia recepita e apprezzata.

Le nobili figure agiscono fuori del tempo ordinario e in uno spazio immaginato.
Il quotidiano è prosaico; solo la raffigurazione allegorica ci porta nella storia perenne.
Il monumentale si manifesta in tutta la pittura dell’epoca: nei ritratti, nei paesaggi, nelle evocazioni d’imprese storiche e talvolta anche nelle nature morte. Nei quadri, i primi piani sono generalmente dipinti in maniera iperrealista, poi si dissolvono in nubi, in cieli zeppi d’angeli svolazzanti, con Madonne che mostrano il Bambin Gesù dal cuore trafitto che sorride al vincitore di una battaglia o parimenti ad un santo che ha saputo vincere le tentazioni della carne. Di solito tutte le scene sono dipinte entro l’illusionistica cornice che i quadraturisti professionisti con stupefacente bravura tecnica sapevano creare.

Le cose sono periture: solo le idee sublimi sono eterne. Le idee non si colgono con la ragione ma con l’emozione violenta che solo le immagini drammaticamente raffigurate sono in grado di evocare.
Le immagini diventano mezzi didascalici per evocare sentimenti: l’arroganza giovanile, la devozione di santi in preghiera, la contrizione delle Maddalene penitenti, le nobili dame nelle sembianze di Cleopatre virtuose che soffrono le pene d’amore fino all’estremo sacrificio; i gesti sono sempre studiati e artificiosi per rendere la monumentalità della rappresentazione e dare al tutto un aspetto di verosimiglianza, anche se sappiamo che le sofferenze non sono vere e le estasi mistiche sanno di estasi amorose.
Il messaggio deve trasmettersi attraverso una forma di contagio emotivo assolutamente irrazionale.
La Chiesa diventa perciò una committente importantissima ed ecco perché nel ‘600 v’è una abbondanza di quadri di ispirazione religiosa. L’umile che è chiamato da Dio appartiene ad una nobiltà superiore e la storia è un progetto divino che si invera attraverso la chiamata degli individui di nobili natali o degli umili nobilitati
i quali, mossi da un furore eroico, la fanno.
La pittura di storia è considerata la forma più elevata dell’arte, ma l’azione storica è solo immaginata.
Così pure i personaggi sono immaginati in sembianze atte a mostrare la superiorità morale di chi è stato chiamato. La raffigurazione esatta descrive solo e sempre un particolare ma non può raggiungere l’universale e quindi bisogna esprimere il carattere. Le pose diventano convenzionali, i modelli atteggiati,
il drappeggio enfatizzato; la figura non deve essere ritratta per quel che è, ma come deve apparite per il mondo. Poichè l’indagine sulla natura deve essere fatta dalla scienza e la pittura risulta inadeguata a studiare il mondo dove l’uomo è chiamato ad agire, la scena storica deve essere universale, fuori dal tempo e la natura non deve essere rappresentata in forme e momenti precisi. Il paesaggio ha sì alberi, rocce, fiumi, tramonti e nubi, ma non sono che forme schematiche entro le quali gli eroi e le eroine recitano la loro parte. Le nature morte sono intese come allegorie e forme devozionali di meditazione. Gli oggetti che rappresentano, scelti sempre con particolare cura per i significati e le allusioni che racchiudono, non hanno valore se non come occasioni di riflessione: gli uomini, contemplandoli, devono passare dal particolare, dal perituro e dal contingente all’universale morale.

I pittori piemontesi, o che operarono per tempo più o meno lungo in Piemonte, in genere fondarono botteghe d’arte che si ispirarono ai sopraccennati canoni della estetica barocca per soddisfare le richieste della committenza. Alcuni si dedicarono più al genere ritrattistico, altri alle rappresentazioni di scene devozionali, altri a scene storiche allegoriche. A seconda dei gusti della commitenza si ispirarono a modelli nordici, francesi o fiamminghi, altri a modelli caravaggeschi o, genericamente, a scuole romane o napoletane.
Molti raggiunsero alti livelli di produzione artistica, certo non inferiori a quelli di altri artisti italiani o europei.


Guglielmo Caccia detto il Moncalvo (Montabone, 1568-Moncalvo, 1625) è pittore fecondo e precoce. All'età di 17 anni dipinge un’ Annunciazione per Guarene e una Sacra conversazione per S. Michele. Dopo un primo periodo di formazione in Piemonte, è a Milano, dove incontra la pittura lombarda, e infine ritorna in Piemonte stabilendosi a Moncalvo, AT.
Verso il 1590 affresca la
Presentazione al Tempio del Sacro Monte di Crea, dove si notano gli insegnamenti della tradizione vercellese (Lanino e G. Ferrari).
Nel 1593 dipinge la
Crocifissione a Galliano e decora una nuova cappella del Sacro Monte (Nascita della Vergine).
A Moncalvo, dipinge una
Allegoria francescana .per la Chiesa di San Francesco, a Bologna forse incontra i fratelli Carracci e a Torino (1608) con lo Zuccari concorre a decorare la Galleria che metteva in comunicazione Palazzo Madama col Palazzo Ducale.
La sua produzione è copiosa grazie anche alla collaborazione di un’efficiente bottega. Le sue opere si ritrovano nel Duomo di Casale, in San Domenico a Chieri, a Novara, al Sacro Monte, ai Capuccini di Torino (
Martirio di San Maurizio) e molte a Moncalvo. Il suo sentire religioso, pur se espresso nelle modalità barocche, appare sincero e ricco di pathos.

(Guglielmo Caccia Il Moncalvo,Madonna del Rosario, particolare)

Guglielmo Caccia (Il-Moncalvo)-Madonna-del-Rosario

Caccia Orsola Maddalena (Moncalvo 1596 - 1676), figlia del Moncalvo, entra nel convento delle Orsoline e sotto la guida del padre forma un atelier in cui istruisce in pittura le suore. Ne escono quadri devozionali, pale d’altare e nature morte molto apprezzate anche dalla corte torinese (esiste in proposito una corrispondeza con l’Infanta Margherita di Savoia).
La sua ricca produzione è sparsa in molte località piemontesi.

Alberini Giorgio (Alessandria, 1576 - Casale, 1625) compie il suo apprendistato a Vercelli sotto la guida di Gerolamo Giovenone e del Lanino da cui impara la tecnica dell’affresco, poi si trasferisce a Casale dove svolge quasi tutta la sua attività. Fu amico e collaboratore del Moncalvo che lo chiamò a Torino per affrescare la Grande Galleria di Carlo Emanuele I. Lavora al Monte Sacro di Crea e con il Musso partecipa alla decorazione della Cappella del Castello di Casale.
Sue opere si trovano a Felizzano e a Fubine (
San Francesco con la Vergine).


Taricco Sebastiano (Cherasco, 1642 - Torino, 1710). Pittore apprezzato sia nel cuneese sia alla corte di Torino, sebbene la critica moderna ritenga la sua produzione di non grande spessore artistico.
Le sue prime produzioni si fanno risalire ai lavori di decorazione nel cantiere della Venaria e a Fossano.

I padri agostiniani di Cherasco gli affidano il compito di affrescare la cupola di Sant’Agostino con l’Allegoria del Paradiso, in cui il Taricco si avvale degli insegnamenti del Nuvolone al Sacro Monte d’Orta.
A Savigliano dipinge la grande tela della missione di padre Buil nelle Americhe. Nelle opere successive al santuario di Vicoforte si avvale della lezione del Pozzo per l’ardita costruzione geometrica e per gli effetti dovuti ai giochi di luce.
Le sue opere migliori sono gli affreschi di Palazzo Gotti di Salerano a Cherasco, dove fa uso di colori puliti e vivaci. D’intonazione più cupa è invece la Visione di Sant’Ignazio ai Santi Martiri di Torino.
Sue opere sono presenti anche a Palazzo reale.

(Sebastiano Taricco, Trasfigurazione di Cristo, sec.XVII)

Sebastiano Taricco-Trasfigurazione-di-Cristo-sec.-XVII

Nicolò Musso (Casale, 1595) fu un altro pittore di notevole valore. Figlio di un cancelliere del senato, si trasferì da giovane a Roma dove si formò nella cerchia dei caravaggeschi (alcuni critici lo ritengono direttamente allievo del Caravaggio) e portò in Piemonte le nuove innovazioni stilistiche che però non furono sempre apprezzate, nonostante l'elevata qualità della sua produzione.
Il suo capolavoro è ritenuto essere la
Madonna del Rosario (Casale, San Domenico, 1618).
Questa pala d’altare, ispirata alla lezione del Caravaggio, risente anche dell’influenza del Saraceni, del Gentileschi e del Borgianni ed è certamente un quadro innovativo in tutta la pittura non solo casalese.
A Chivasso sono conservati un’Annunciazione, una Madonna del Carmine, un autoritratto.
Altre sue opere si trovano in varie parti del Piemonte.

(Nicolò Musso, Cristo al Calvario)

Nicolò Musso-Cristo-al-Calvario

Giovanni Battista Crespi detto Il Cerano (Cerano NO, 1575 - Milano 1632) forse apprese i primi rudimenti dell’arte da suo padre, per poi approfondire la pittura di Gaudenzio Ferrari e dei manieristi, soprattutto nordici. La sua produzione, di notevole qualità, si trova a Novara (Crocifissione con Santi) e, dopo il suo trasferimento a Milano, in molte località della Lombardia.

Antonio di Giovanni D’Enrico
detto Tanzio da Varallo

(Riale d’Alagna VC, 1580 - Varallo Sesia 1632/33).
È figlio d’arte in quanto molti membri della sua famiglia furono pittori, scultori, decoratori attivi in Valsesia fin dal 1500.
Alla sua formazione contribuì probabilmente un viaggio a Roma attorno al 1600, dove venne in contatto con le nuove mode sorte nell’ambiente caravaggesco ed eseguì vari dipinti.
Rientrò in Piemonte verso il 1616.

Partecipò alla decorazione delle Cappelle Sacro Monte di Varallo con la prima Presentazione di Cristo a Pilato in cui si manifesta la sua tecnica spettacolare che perfettamente incarna la drammaticità del sentire religioso proprio della Controriforma.
Gli affreschi di Varallo e della Cappella dell’Angelo di San Gaudenzio a Novara mostrano chiaramente come Tanzio riesca a fondere insieme con indiscussa abilità stilemi caravaggeschi e modi tardo manieristici.

(Tanzio da Varallo, Ritratto di gentildonna)

Tanzio da Varallo-Ritratto-di-gentildonna

Bartolomeo Caravoglia (Crescentino VC 1620, 1691) è un valente pittore che concorse all'importante impresa decorativa della corte fin dal 1644. Decora la Cappella del Duomo, il Palazzo ducale, il Salone di Diana della Venaria (andato perduto). Suoi sono il Miracolo dell’Ostia (Torino, Corpus Domini) e la bellissima Circoncisione di Santa Maria (Cuneo, 1645). Si ricordano anche la Strage degli innocenti (Cherasco, 1661), Cristo in Croce (Livorno Ferraris) e il Martirio di San Maurizio (San Maurizio Canavese, 1676).
Fu anche un ricercato ritrattista.

Giovanni Francesco Sacchetti. Di lui si hanno notizie in Piemonte, a Torino, dal 1663 al 1720.
È attivo alla Venaria Reale per la decorazione della Chiesa. Appartiene alla seconda generazione dei pittori piemontesi ed è importante perché tenta di ricuperare i modi del primo classicismo bolognese e per avere tentato una sintesi stilistica con una forma di purismo molto evidente nelle sue numerose opere di contenuto sacro:
San Romualdo manda San Bonifacio in missione (Eremo di Lanzo), San Paolo sbarcato a Corinto (collezione San Paolo, Torino) Altre opere degne di memoria sono: Santi Giuseppe e Rocco, Madonna col Bambino e la Visione di Sant’Ignazio per i Gesuiti di Pinerolo.


Pittori stranieri invitati nel Piemonte

Giacomo e Giovanni Andrea Casella. Di origine luganese, appartengono ad una famiglia d’artisti attivi in Piemonte dal 1622 ca. fino alla seconda metà del ‘600. Si fecero ben presto valere tra i pittori apprezzati dalla corte e a loro furono commissionati importanti lavori di decorazione a Venaria, al Palazzo ducale, al Duomo (Santa Cecilia), a Palazzo civico (Allegorie), al Castello del Valentino (Stanza delle magnificenze) e, su commissione della Madama Reale, affreschi e quadri per la Chiesa di Santa Cecilia (1666).

Giovanni Claret (1610 ? - 1679) è un altro esempio di pittore straniero, forse di origine fiamminga, invitato a lavorare in Piemonte, in particolare nelle aeree cuneesi (Fossano, Savigliano, Bra, Mondovì).
Di lui si hanno quadri e affreschi anche d’impegnativa esecuzione come la
Battaglia di Lepanto, la Madonna del Rosario, la Sconfitta degli Albigesi.

Carlo Lanfranchi, fiammingo, noto in Piemonte nel secondo ‘600 per le sue
Nature morte di cui due sono conservate presso la Galleria Sabauda di Torino. Fu anche apprezzato ritrattista ed autore di opere sacre.
Si ricorda per il contributo che la sua formazione nordica ha dato alla pittura piemontese e le suggestioni fiamminghe che introdusse e che si fecero sentire fino all’Ottocento.


(Eugenio Gabanino)

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